A 14 anni dai fatti del G8 di Genova, il racconto di quelle ore di sangue e tensione. Oggi come se fosse ieri.

Chi ha 30 anni o più, i fatti di Genova, li ricorda come se fosse ieri.  Quartiere Albano, Genova, 20 luglio 2001. Mancano pochi minuti alla mezzanotte e un plotone fa irruzione alla scuola Diaz. Nella palestra della scuola stanno riposando alcuni manifestanti del Genoa Social Forum, giunti fin qui per contestare la globalizzazione capitalista delle 8 Grandi potenze riunite nella città ligure.

Avvolti nei sacchi a pelo, molti di loro sono stranieri. E molti di loro stanno già dormendo quando il Reparto mobile di Roma dà il via all’irruzione, lo seguono poi quello di Genova e Milano mentre i Battaglioni dei Carabinieri non parteciparono attivamente all’irruzione ma si limitano a circondare l’edificio. Gli agenti di polizia irrompono e aggrediscono violentemente gli ospiti: 82 feriti e 93 arrestati. Tra gli arrestati 63 furono portati in ospedale e 19 furono portati nella caserma della polizia di Bolzaneto. Tre in prognosi riservata e uno in coma, è Mark Covell, il giornalista inglese che per primo si imbatte nel “plotone”.

 

>> VIDEO | Il monologo di Arnaldo Cestaro sui fatti della Diaz

Per quella “mattanza” finiscono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra. Lo stesso vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, Michelangelo Fournier, definisce sei anni dopo «macelleria messicana» quell’intervento. È ancora il 21 luglio 2001. E quella sera, tra le 22 e mezzanotte, anche nelle scuole Pertini e Pascoli, fanno irruzione i Reparti mobili della Polizia di Stato con il supporto operativo di alcuni battaglioni dei Carabinieri.

 

Carlo Giuliani, ragazzo

Come se fosse ieri. È il 20 luglio, Carlo Giuliani, 23 anni, anarchico e militante del movimento no-global rimane ucciso durante i disordini in Via Tolemaide nel quartiere Foce, presso la stazione Brignole. Carlo rinuncia alla gita al mare e si dirige al corteo delle Tute Bianche. Dopo una carica abortita in via Caffa (lateralmente al corteo) dei carabinieri, in piazza Alimonda, durante la frettolosa ritirata dei circa 70 militari presenti, una Land Rover Defender con tre carabinieri a bordo (l’autista Filippo Cavataio, Mario Placanica e Dario Raffone), fa manovra per seguire la ritirata degli uomini e rimane apparentemente bloccata contro un grosso cassonetto. Rimane lì per pochi secondi e viene preso d’assalto da alcuni manifestanti. Tra loro, Carlo Giuliani. Il volto coperto da un passamontagna, raccoglie un estintore già scagliato contro il mezzo da un altro manifestante e poi caduto a terra, e lo solleva.

È un attimo, dall’interno del veicolo un carabiniere di leva – Mario Placanica – estrae la pistola e la punta sui manifestanti. Intima loro di andar via. Spara due colpi. Uno dei colpi raggiunge Carlo allo zigomo sinistro. Carlo muore dopo pochi minuti. Il fuoristrada, nel tentativo di fuggire, riprende la manovra e passa sul corpo del ragazzo. Due volte. Una in retromarcia e una a marcia avanti. Sono le 17:27 del 20 luglio 2001.

 

>> VIDEO | La ricostruzione della morte di Carlo Giuliani

© La Storia siamo noi

Il carabiniere ausiliario Mario Placanica, che all’epoca dei fatti non ha ancora compiuto 21 anni, viene indagato per omicidio e poi prosciolto, secondo la giustizia italiana ha agito per legittima difesa contro Giuliani che tentava di colpirlo con un estintore. La Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale la famiglia Giuliani ha fatto ricorso, ha accolto la ricostruzione italiana in merito ai fatti specifici della morte ma ha criticato la gestione dei sistemi di sicurezza attorno al vertice da parte dell’Italia. La Corte ha disposto un risarcimento di 40mila euro ai familiari di Giuliani a carico dello Stato italiano. E ha poi assolto lo Stato Italiano con sentenza definitiva nel 2011.

 

Oggi, 14 anni dopo

Come se fosse ieri. Solo che sono passati 14 anni, processi, sentenze. E una condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, che arriva nell’aprile del 2015: lo Stato italiano deve pagare un risarcimento nei confronti di uno dei feriti che aveva fatto ricorso alla corte. Non solo, ma la Corte evidenzia che durante l’operazione sono avvenuti eventi contrari all’art 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, relativo alla tortura e alle condizioni e punizioni degradanti e inumane. Per la Corte l’Italia non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura; un vuoto legislativo che ha consentito ai colpevoli di restare impuniti. «Questo risultato – scrivono i giudici – non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri».

Come se fosse ieri, quando il Capo della Polizia di Stato era Gianni De Gennaro, processato perché accusato di avere istigato il questore di Genova a dare falsa testimonianza sui fatti della scuola Diaz e poi assolto in Cassazione perché «i fatti non sussistono». Come se fosse ieri, solo che oggi il reggino De Gennaro è il presidente di Finmeccanica, il primo gruppo industriale nazionale nel settore dell’alta tecnologia e tra i primi player mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza. E solo che sull’Italia rimane l’onta del reato di tortura che non c’è.

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