Difensore della purezza del M5S e fedele ai capi, Massimo Bugani ha cercato di imporre al sua candidatura. Suscitando una rivolta. Sotto le Due Torri, dove è nato, il Movimento 5 stelle non trova pace.

Sotto le Due Torri, dove è nato, il Movimento 5 stelle non trova pace. Torna a dividere, l’orizzonte delle prossime elezioni comunali.
E mentre a Milano si è scelto con vere e proprie votazioni in carne e urne; a Roma si sta precedendo per usuali candidature e selezioni a mezzo web, a Bologna no. A Bologna ha deciso lui, il consigliere comunale Massimo Bugani.

Già candidato sindaco alle scorse amministrative – con una campagna per la quale aveva chiesto sostentamento ai due (poi tanto odiati) consiglieri regionali (l’ex capogruppo Andrea Defranceschi gli prestò, come ad altri comuni, due degli 8mila euro della campagna, provenienti dal proprio extrastipendio – pratica che l’assemblea regionale del Movimento votò pubblicamente) – ora ci riprova. Saltando a piè pari primarie, consultazioni, o qualsiasi forma di candidatura diretta.

Per chi lo conosce, non è una novità. La baldanzosità con cui si erge a difensore (e detentore) dei principi del Movimento 5 stelle, sono noti ben da tempo. Come anche che, a dispetto dei suoi sforzi per eliminare i “dissidenti”, a Bologna il Movimento non navighi in acque quiete. Espulsioni, il meet up originale cancellato proprio dall’oggi leadrino locale; i parlamentari che non partecipano alla campagna elettorale regionale in segno di protesta contro il sistema dei due pesi e due misure usate per i non allineati: tante altre se ne potrebbero raccontare, per ricostruire, a chi non conosce la realtà del Movimento felsineo, in che consiste l’opzione che Grillo e Casaleggio si stanno accontentando di offrire alla città.

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Ma poi si sa: essere fedeli al capo, più che ai principi, paga. E dunque, come raccontano cronache locali, attivisti e fuoriscuti, Massimo Bugani, che a differenza di Favia e Defranceschi non si è mai sottoposto alle verifiche semestrali davanti ai cittadini, promesse in campagna elettorale e baluardo del Movimento delle origini, ha potuto auto-nominarsi candidato sindaco, scegliendo un gruppo di fedelissimi a formare l’ipotetica squadra – anche questa non discussa con la base. L’ha annunciato già da prima dell’estate, con la benedizione postuma del leader Di Maio (Di Battista ha preferito sfilarsi in sordina), che ormai ai fuoripista regolamentari ci ha fatto il callo. Se davvero il Movimento 5 stelle rispettasse le regole originarie, non ci sarebbe un direttorio, tanto per dirne una.
Ma le regole stanno cambiando, subentrano esigenze di governo, e abilità (più che competenze) che rendono alcuni più funzionanti di altri.
«Io so di avere il rispetto e la stima di Grillo e Casaleggio e di tutti i parlamentari più in vista, so di essermi guadagnato sul territorio una discreta visibilità nazionale», raccontava qualche mese fa al Corriere.it.

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Visibilità, è la parola magica. Se Bugani – che come copertina di fb ha una foto con Di Maio e Dibba, e come immagine del profilo lui presentatore alla Convention di Imola – riscuote l’appoggio dei parlamentari “più in vista”, di certo non ha quello degli eletti bolognesi e la maggioranza di quelli emiliani-romagnoli. E sul territorio avrà la visibilità concessagli dai palchi sui quali alcuni eletti hanno trasferito la loro azione, ma certo non la stima: non si contano infatti gli ex grillini cancellatisi dal blog o che hanno smesso di frequentare lo storico circolo Mazzini.

Ma a rompergli le uova nel paniere, è arrivato Lorenzo Andraghetti. Storico attivista, collaboratore del parlamentare bolognese Paolo Bernini e contrario a certi metodi da tempo, Andraghetti ha risposto alla provocazioni di Bugani che sosteneva di aver saltato le primarie semplicemente perché non ci fossero altri candidati, scendendo in campo: “Da adesso non gli concederò più di diffamare in tranquillità il sottoscritto e tutti gli attivisti che danno la vita per il M5S da più anni di lui.”, si presenta. Riscuote un gran successo, e colleziona un centinaio di firme, tra cui parlamentari e molti consiglieri della provincia di Bologna (Loiano, Pianoro, Castello d’Argile, San Giorgio di Piano, Castel San Pietro), che con una lettera indirizzata allo staff, chiedono primarie pubbliche dato che la lista attuale è “in aperta violazione degli articoli 4 e 7 del Non statuto”.
Tra loro, anche l’eurodeputato Marco Affronte: «A Bologna si è deciso di non rispettare le nostre regole. Semplici, democratiche, condivise. Questo ha aperto una ferita che resta scoperta e sta creando problemi. Forse ci sono ancora i tempi per rimediare: fare un passo indietro e consultare gli attivisti», scrive in una lunga riflessione identitaria e di metodo su fb. «Il metodo con il quale scegliamo e sceglieremo i nostri candidati sindaco non è per nulla secondario. Niente liste bloccate, niente investiture dall’alto, niente candidati unici». E attacca: «Per ora abbiamo assistito alla scelta di tre candidati sindaco delle città principali con tre metodi diversi», in uno dei quali, Bologna, «con l’investitura dall’alto. Sono sconcertato: che messaggio trasmettiamo così?».
Non è da meno la senatrice Bulgarelli: «Se qualcuno in corso d’opera intende cambiare direzione e fare diventare i 5 Stelle un partito verticistico troverà in me un immenso ostacolo».
Rincara Pizzarotti: “Emerge una mancanza di omogeneità di regole a livello nazionale. Il metodo va discusso in modo condiviso, anche per quello auspico di trovarci insieme in un meet-up nazionale”. Non è la prima volta che il sindaco pentastellato chiede un confronto allargato e pubblico, di democrazia partecipata. L’ultima volta, alla convention di Parma, rischiò l’espulsione, per aver osato tanto.

E allora lui, Max, che la sera del confronto pubblico con gli attivisti non si è presentato, concede ciò che non sta a lui ma alla normativa e volendo alle leggi della democrazia (nonché, eventualmente, ai proprietari del logo, sempre Grillo e la Casaleggio Associati, leggi qui) autorizzare: “io e i ragazzi della lista diamo la possibilità di presentare candidature e liste alternative”, come riportava ieri il Resto del Carlino.

Peccato che, a dover approvare l’eventuale lista e concedere l’utilizzo del logo ai “dissidenti”, siano sempre loro: Grillo e Casaleggio.  Sicuri sarà una sfida alla pari?