Salvo Riina ha scritto un libro. Il figlio del boss, trascinato in un vortice ispiratorio ha deciso di regalarci un libro, lui: il figlio di quello che disconosce il congiuntivo

Notizia del giorno: Salvo Riina ha scritto un libro. Il figlio del boss, trascinato in un vortice ispiratorio ha deciso di regalarci un libro, lui: il figlio di quello che disconosce il congiuntivo. E la notizia viene data con grande giubilo perché in un mercato editoriale che anela alle scoreggine di un qualsiasi presunto omicida per passione o di una ricetta giusta per il cognome, una biografia del capo dei capi, di Riina ‘U Curtu, il capo dei capi di Cosa Nostra scritta dal figlio Salvo potrebbe essere un botto.

Un botto, poi, che brutta parola. Quando hai a che fare con il figlio di un uomo che gocciola sangue ogni virgola che sbagli rischia di essere una coltellata a qualche famigliare vittima di mafia ma lui, Salvo Riina figlio di Totò, ha deciso di dare alle stampe comunque questo conato di quadretto famigliare che sembra la famiglia del Mulino Bianco con un cadavere nascosto nella macina. Racconta di lui e papà sulla poltrona. Ci racconta.

«La tv era accesa su Rai1, e il telegiornale in edizione straordinaria già andava avanti da un’ora. Non facemmo domande, ma ci limitammo a guardare nello schermo. Il viso di Giovanni Falcone veniva riproposto ogni minuto, alternato alle immagini rivoltanti di un’autostrada aperta in due… Un cratere fumante, pieno di rottami e di poliziotti indaffarati nelle ricerche… Pure mio padre Totò era a casa. Stava seduto nella sua poltrona davanti al televisore. Anche lui in silenzio. Non diceva una parola, ma non era agitato o particolarmente incuriosito da quelle immagini. Sul volto qualche ruga, appena accigliato, ascoltava pensando ad altro». Così Salvo Riina ha raccontato il giorno in cui Giovanni Falcone divenne carne morta.

Ti aspetteresti almeno che l’intervistatore, il curatore o l’editore a questo punto siano corsi a prenderlo per il bavero, a scrollargli quella faccia da bullo per costringerlo davvero a dirci che almeno per un secondo l’ha inteso quanto quel suo cognome sia intriso di vigliaccheria e dolore. E invece no.

«Non è omertà, è che io ho scritto il libro non per dare conto delle condanne subite da mio padre, anche perché sarebbe inutile. A me interessava far capire che esiste ed è esistita una famiglia che non aveva niente a che fare coi processi e quello che succedeva fuori, e che nessuno conosce anche se tutti pensano di poterla giudicare» dice Salvo nella sua intervista a Giovanni Bianconi de il Corriere della Sera dimenticando che quella famiglia non è mai esistita. Caro Salvo, quel tuo padre, no, non è mai esistito. È esistito un Riina che fa rima con la merda, sì, ma quel padre che vorresti propinarci come ostia laica per la tua prima confessione è una tua storta, un’invenzione, una perversione.

Io non la lecco quella poltrona dove facevate finta di essere una famiglia sulle tombe delle famiglie degli altri.

Buon mercoledì.