Mentre si attendeva la pronuncia del Tas di Losanna sulla richiesta di sospensiva - poi negata - per Alex Schwazer, la giornata di ieri, lunedì 18 luglio, è stata contrassegnata dagli esiti del report di 103 pagine sul doping in Russia redatto da una commissione indipendente per conto dell’Agenzia mondiale antidoping, la Wada. Il docente di Diritto sportivo canadese Richard McLaren, che coordinava l’indagine, ha spiegato in conferenza stampa di aver pensato di chiedere l’esclusione dell’intera squadra russa dalle Olimpiadi di Rio che avranno inizio il 5 agosto. McLaren ha poi chiarito di non aver formulato la proposta, ma di aver raccomandato al Comitato olimpico internazionale, il Cio, di acquisire le informazioni contenute nel report e decidere. La vicenda russa con quella dell’atleta italiano accusato di doping hanno alcuni punti in comune: a novembre 2015 Schwazer ha ricostruito davanti all’agenzia antidoping russa i casi di doping di cui era a conoscenza. Anche il ruolo nello squarciare il velo sulla situazione russa di Sandro Donati, allenatore di Schwazer e simbolo dell’antidoping in Italia e non solo, fa pensare a una ritorsioni nei confronti dell’atleta e del suo preparatore. Donati infatti si dice per niente meravigliato, dal momento che ha avuto modo di verificare la gran quantità di atleti di nazionalità russa con valori "anomali" elencati nel database che la procura di Bolzano ha sequestrato a un medico italiano coinvolto nell'inchiesta che riguarda anche Schwazer.   L’accusa per la Russia è pesante e riguarda anche la sfera politica della federazione, non soltanto i vertici nazionali dello sport. L’alterazione sistematica dei campioni positivi non sarebbe avvenuta soltanto ai Giochi invernali di Sochi del 2014 ma almeno da fine 2011, e addirittura i servizi segreti di Mosca hanno coperto i casi di doping agli ordini del ministro dello Sport russo Vitaly Mutko. «Nell’ambito di un sistema di copertura dettato dallo Stato», il laboratorio accreditato di Mosca (poi l'accreditamento è stato revocato a novembre 2015) adoperato per falsificare l’esito degli esami copriva i casi di doping che coinvolgevano gli atleti russi: 508 episodi di positività falsificata su 312 atleti, compresi molti casi riguardanti atleti paralimpici, e 30 discipline coinvolte. Campioni di urine “puliti” venivano congelati e poi sostituiti a quelli “dopati” prelevati in concomitanza dei Giochi di Sochi. Agli atleti veniva anche somministrato un cocktail di tre steroidi - noto come Duchessa, dal nome di un drink russo - sciolto nel liquore, che veniva messo in bocca e poi sputato. I campioni venivano scambiati tramite un foro nel muro grazie alla complicità di un agente dei servizi russi sotto copertura.

I test falsificati per ciascuna disciplinadoping flow chartwada_disappearing_pos

Preziosa, ai fini della realizzazione del report, la collaborazione di Grigory Rodchenkov, ex direttore del laboratorio antidoping russo fuggito negli Stati Uniti dopo la morte in circostanze misteriose di due colleghi. A seguito della pubblicazione del report, la Wada ha invitato il Cio a negare la partecipazione degli atleti russi a Rio 2016 e fino a quando il Paese non dimostrerà di aver ottenuto un «cambiamento culturale» ha detto il portavoce Ben Nichols. Non si è fatta attendere la reazione del Cremlino, dal quale è arrivata un’aspra critica a quelle che Mosca definisce «un pericoloso ritorno di interferenze politiche nello sport». Il presidente russo Vladimir Putin fa un riferimento esplicito al boicottaggio internazionale delle Olimpiadi di Mosca del 1980 per l'intervento delle truppe sovietiche in Afghanistan, e a quando «quattro anni dopo l'Urss per ritorsione rispose con il boicottaggio dei Giochi di Los Angeles». Putin assicura che i dirigenti pubblici sotto inchiesta verranno sospesi ma al tempo stesso paventato il rischio di una scissione del movimento olimpico. «Sì - aggiunge -, le forme di tali interferenze sono cambiate, ma l'obiettivo è lo stesso di prima: rendere lo sport uno strumento di pressione geopolitica». Un primo segnale sulla fondatezza delle accuse e sull'entità del fenomeno è atteso a stretto giro. Il mese scorso l'Associazione internazionale delle federazioni di atletica ha bandito la squadra di atletica russa dai Giochi di Rio. Giovedì 21 luglio è atteso il verdetto del ricorso al Tribunale arbitrale dello sport di Losanna.

Mentre si attendeva la pronuncia del Tas di Losanna sulla richiesta di sospensiva – poi negata – per Alex Schwazer, la giornata di ieri, lunedì 18 luglio, è stata contrassegnata dagli esiti del report di 103 pagine sul doping in Russia redatto da una commissione indipendente per conto dell’Agenzia mondiale antidoping, la Wada. Il docente di Diritto sportivo canadese Richard McLaren, che coordinava l’indagine, ha spiegato in conferenza stampa di aver pensato di chiedere l’esclusione dell’intera squadra russa dalle Olimpiadi di Rio che avranno inizio il 5 agosto. McLaren ha poi chiarito di non aver formulato la proposta, ma di aver raccomandato al Comitato olimpico internazionale, il Cio, di acquisire le informazioni contenute nel report e decidere.

La vicenda russa con quella dell’atleta italiano accusato di doping hanno alcuni punti in comune: a novembre 2015 Schwazer ha ricostruito davanti all’agenzia antidoping russa i casi di doping di cui era a conoscenza. Anche il ruolo nello squarciare il velo sulla situazione russa di Sandro Donati, allenatore di Schwazer e simbolo dell’antidoping in Italia e non solo, fa pensare a una ritorsioni nei confronti dell’atleta e del suo preparatore. Donati infatti si dice per niente meravigliato, dal momento che ha avuto modo di verificare la gran quantità di atleti di nazionalità russa con valori “anomali” elencati nel database che la procura di Bolzano ha sequestrato a un medico italiano coinvolto nell’inchiesta che riguarda anche Schwazer.

 

L’accusa per la Russia è pesante e riguarda anche la sfera politica della federazione, non soltanto i vertici nazionali dello sport. L’alterazione sistematica dei campioni positivi non sarebbe avvenuta soltanto ai Giochi invernali di Sochi del 2014 ma almeno da fine 2011, e addirittura i servizi segreti di Mosca hanno coperto i casi di doping agli ordini del ministro dello Sport russo Vitaly Mutko.

«Nell’ambito di un sistema di copertura dettato dallo Stato», il laboratorio accreditato di Mosca (poi l’accreditamento è stato revocato a novembre 2015) adoperato per falsificare l’esito degli esami copriva i casi di doping che coinvolgevano gli atleti russi: 508 episodi di positività falsificata su 312 atleti, compresi molti casi riguardanti atleti paralimpici, e 30 discipline coinvolte. Campioni di urine “puliti” venivano congelati e poi sostituiti a quelli “dopati” prelevati in concomitanza dei Giochi di Sochi. Agli atleti veniva anche somministrato un cocktail di tre steroidi – noto come Duchessa, dal nome di un drink russo – sciolto nel liquore, che veniva messo in bocca e poi sputato. I campioni venivano scambiati tramite un foro nel muro grazie alla complicità di un agente dei servizi russi sotto copertura.

I test falsificati per ciascuna disciplinadoping flow chartwada_disappearing_pos

Preziosa, ai fini della realizzazione del report, la collaborazione di Grigory Rodchenkov, ex direttore del laboratorio antidoping russo fuggito negli Stati Uniti dopo la morte in circostanze misteriose di due colleghi. A seguito della pubblicazione del report, la Wada ha invitato il Cio a negare la partecipazione degli atleti russi a Rio 2016 e fino a quando il Paese non dimostrerà di aver ottenuto un «cambiamento culturale» ha detto il portavoce Ben Nichols. Non si è fatta attendere la reazione del Cremlino, dal quale è arrivata un’aspra critica a quelle che Mosca definisce «un pericoloso ritorno di interferenze politiche nello sport».

Il presidente russo Vladimir Putin fa un riferimento esplicito al boicottaggio internazionale delle Olimpiadi di Mosca del 1980 per l’intervento delle truppe sovietiche in Afghanistan, e a quando «quattro anni dopo l’Urss per ritorsione rispose con il boicottaggio dei Giochi di Los Angeles». Putin assicura che i dirigenti pubblici sotto inchiesta verranno sospesi ma al tempo stesso paventato il rischio di una scissione del movimento olimpico. «Sì – aggiunge -, le forme di tali interferenze sono cambiate, ma l’obiettivo è lo stesso di prima: rendere lo sport uno strumento di pressione geopolitica».

Un primo segnale sulla fondatezza delle accuse e sull’entità del fenomeno è atteso a stretto giro. Il mese scorso l’Associazione internazionale delle federazioni di atletica ha bandito la squadra di atletica russa dai Giochi di Rio. Giovedì 21 luglio è atteso il verdetto del ricorso al Tribunale arbitrale dello sport di Losanna.