Vipiteno, Roma, Losanna. Le ultime flebili speranze per di partecipare alle Olimpiadi di Rio si giocano tutte qui. In quello che ha assunto i tratti di un giallo sportivo con pochissimi precedenti. Una storia piena di elementi illogici, restrizioni (de facto) delle possibilità di difesa e di pesanti accuse di complotto. Ieri il Tribunale arbitrale sportivo (Tas) di Losanna ha respinto la richiesta di sospensiva promossa dai legali di Alex Schwazer. Lo stop cautelare per il presunto nuovo caso di doping quindi resta in vigore, ma servono nuovi approfondimenti e già nell’udienza della prossima settimana, tra il 26 e il 28 luglio, si entrerà nel merito con l’audizione dell’atleta altoatesino, del suo avvocato e dell'allenatore - e storico protagonista della lotta al doping - Sandro Donati. Resta in piedi, dunque, la speranza di fare rotta su Rio e affrontare la gara dei 20 km il 12 agosto e quella dei 50 il 19. Così, per il marciatore, il preparatore e il legale Gerhard Brandstaetter continua lo sprint per ribattere (in tempi utili) all'accusa di una nuova positività a un test antidoping a sorpresa effettuato a gennaio 2016 con esito negativo e che, invece, rianalizzato a maggio, avrebbe riscontrato livelli di testosterone sopra la norma. A Vipiteno, davanti ai giornalisti, la scorsa settimana Schwazer ha assicurato la propria estraneità, mentre il suo legale ha denunciato la quasi impossibilità di reagire giuridicamente alle accuse (che hanno comportato la sospensione del marciatore) in tempi così stretti, a qualche settimana dall’inizio delle Olimpiadi. Il ricorso contro la sospensione che la Federazione Internazionale ha comminato all’ex campione olimpico, era scattato dopo che il Tribunale nazionale antidoping di Roma si era dichiarato incompetente rispetto a decisioni della Federazione Internazionale. Ora, con la pronuncia di ieri sera, il Tas lascia aperta la possibilità che un'assoluzione di Schwazer gli consenta di partecipare ai Giochi . Accanto alla testimonianza dell'atleta, le ombre pesanti di questo caso - che ha forti connessioni con lo scandalo del doping di Stato russo esploso nei giorni scorsi - le ha delineate con più chiarezza Sandro Donati. Giovedì scorso, dopo una notte passata in treno, il preparatore si è presentato a Roma, prima davanti alla Commissione parlamentare antimafia e poi dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, confermando senza mezzi termini l’esistenza di un complotto ai suoi danni orchestrato dai poteri contro cui, negli anni delle sue battaglie antidoping, si è scontrato. Donati ha chiesto di «fare luce su tutto», denunciando minacce e facendo riemergere le nebbie del caso di Annamaria Di Terlizzi. Un caso gravissimo e forse dimenticato troppo in fretta. Quasi vent’anni fa, l’allora giovane ostacolista pugliese, allenata proprio da Donati, risultò positiva a un test antidoping nel quale si riscontrarono tracce di caffeina molto superiori alla norma. Un fulmine a ciel sereno per il preparatore atletico della Di Terlizzi, che già da anni era l’alfiere della lotta al doping nello sport. Incredibilmente, però, arrivò il colpo di scena. Qualche settimana dopo, le controanalisi di rito - per la prima volta nella storia dei controlli antidoping - diedero un esito completamente diverso, evidenziando valori di caffeina bassissimi. Un’alterazione deliberata dei risultati del controllo antidoping che, qualora fosse riuscita, avrebbe screditato l’immagine di Sandro Donati proprio in quel periodo del 1997 in cui sulla stampa trapelava il dossier redatto tre anni prima con cui scuoteva i vertici del Coni, denunciando il sistema-doping dell’Epo. Una vera e propria inchiesta, quella di Donati, che conteneva nomi "grossi" e riferimenti precisi. Nomi che poi, negli anni, la storia dell’antidoping imparò a conoscere molto bene. Nomi come quelli dei dottori Michele Ferrari e Carlo Santuccione, legati a sportivi (e ai loro coinvolgimenti in scandali di doping) come Lance Armstrong, Danilo Di Luca e Riccardo Riccò. Col passare del tempo, quei giorni pesanti del ’97, tornano alla mente come un profondo déjà-vu. Per Donati, nell’intento di vendicarsi, alcuni destinatari delle sue denunce hanno «macellato un atleta innocente che in passato ha sbagliato, ma che è un campione immenso». Ora l’attesa è tutta concentrata sulle audizioni della prossima settimana e sulle prove testimoniali eventualmente ammesse. Schwazer confermerà la sua condotta “cristallina” e la sua voglia di volare a Rio, dove – conferma Donati – è in grado di vincere «la medaglia d’oro sia sui 20 chilometri che sui 50».

Vipiteno, Roma, Losanna. Le ultime flebili speranze per di partecipare alle Olimpiadi di Rio si giocano tutte qui. In quello che ha assunto i tratti di un giallo sportivo con pochissimi precedenti. Una storia piena di elementi illogici, restrizioni (de facto) delle possibilità di difesa e di pesanti accuse di complotto. Ieri il Tribunale arbitrale sportivo (Tas) di Losanna ha respinto la richiesta di sospensiva promossa dai legali di Alex Schwazer. Lo stop cautelare per il presunto nuovo caso di doping quindi resta in vigore, ma servono nuovi approfondimenti e già nell’udienza della prossima settimana, tra il 26 e il 28 luglio, si entrerà nel merito con l’audizione dell’atleta altoatesino, del suo avvocato e dell’allenatore – e storico protagonista della lotta al doping – Sandro Donati.

Resta in piedi, dunque, la speranza di fare rotta su Rio e affrontare la gara dei 20 km il 12 agosto e quella dei 50 il 19. Così, per il marciatore, il preparatore e il legale Gerhard Brandstaetter continua lo sprint per ribattere (in tempi utili) all’accusa di una nuova positività a un test antidoping a sorpresa effettuato a gennaio 2016 con esito negativo e che, invece, rianalizzato a maggio, avrebbe riscontrato livelli di testosterone sopra la norma.

A Vipiteno, davanti ai giornalisti, la scorsa settimana Schwazer ha assicurato la propria estraneità, mentre il suo legale ha denunciato la quasi impossibilità di reagire giuridicamente alle accuse (che hanno comportato la sospensione del marciatore) in tempi così stretti, a qualche settimana dall’inizio delle Olimpiadi. Il ricorso contro la sospensione che la Federazione Internazionale ha comminato all’ex campione olimpico, era scattato dopo che il Tribunale nazionale antidoping di Roma si era dichiarato incompetente rispetto a decisioni della Federazione Internazionale. Ora, con la pronuncia di ieri sera, il Tas lascia aperta la possibilità che un’assoluzione di Schwazer gli consenta di partecipare ai Giochi .

Accanto alla testimonianza dell’atleta, le ombre pesanti di questo caso – che ha forti connessioni con lo scandalo del doping di Stato russo esploso nei giorni scorsi – le ha delineate con più chiarezza Sandro Donati. Giovedì scorso, dopo una notte passata in treno, il preparatore si è presentato a Roma, prima davanti alla Commissione parlamentare antimafia e poi dal procuratore capo Giuseppe Pignatone, confermando senza mezzi termini l’esistenza di un complotto ai suoi danni orchestrato dai poteri contro cui, negli anni delle sue battaglie antidoping, si è scontrato.

Donati ha chiesto di «fare luce su tutto», denunciando minacce e facendo riemergere le nebbie del caso di Annamaria Di Terlizzi. Un caso gravissimo e forse dimenticato troppo in fretta. Quasi vent’anni fa, l’allora giovane ostacolista pugliese, allenata proprio da Donati, risultò positiva a un test antidoping nel quale si riscontrarono tracce di caffeina molto superiori alla norma. Un fulmine a ciel sereno per il preparatore atletico della Di Terlizzi, che già da anni era l’alfiere della lotta al doping nello sport.

Incredibilmente, però, arrivò il colpo di scena. Qualche settimana dopo, le controanalisi di rito – per la prima volta nella storia dei controlli antidoping – diedero un esito completamente diverso, evidenziando valori di caffeina bassissimi. Un’alterazione deliberata dei risultati del controllo antidoping che, qualora fosse riuscita, avrebbe screditato l’immagine di Sandro Donati proprio in quel periodo del 1997 in cui sulla stampa trapelava il dossier redatto tre anni prima con cui scuoteva i vertici del Coni, denunciando il sistema-doping dell’Epo. Una vera e propria inchiesta, quella di Donati, che conteneva nomi “grossi” e riferimenti precisi.

Nomi che poi, negli anni, la storia dell’antidoping imparò a conoscere molto bene. Nomi come quelli dei dottori Michele Ferrari e Carlo Santuccione, legati a sportivi (e ai loro coinvolgimenti in scandali di doping) come Lance Armstrong, Danilo Di Luca e Riccardo Riccò. Col passare del tempo, quei giorni pesanti del ’97, tornano alla mente come un profondo déjà-vu.

Per Donati, nell’intento di vendicarsi, alcuni destinatari delle sue denunce hanno «macellato un atleta innocente che in passato ha sbagliato, ma che è un campione immenso». Ora l’attesa è tutta concentrata sulle audizioni della prossima settimana e sulle prove testimoniali eventualmente ammesse. Schwazer confermerà la sua condotta “cristallina” e la sua voglia di volare a Rio, dove – conferma Donati – è in grado di vincere «la medaglia d’oro sia sui 20 chilometri che sui 50».