La riforma che va bocciata anche se dovessero modificare l'Italicum, Renzi che andrebbe avvisato che la Terza via è fallita. Su Left Massimo D’Alema ci parla del suo No e di che succede dopo il referendum

«È stata pensata come una riunione organizzativa», ci ha spiegato Massimo D’Alema in una lunga intervista a cui abbiamo dedicato la nostra prossima copertina, spiegandoci l’appuntamento del 5 settembre. Ma ovviamente è qualcosa di più, l’evento, e non solo perché le adesioni sono state «più di quante avevamo previsto all’inizio». E quella del leader Massimo è falsa modestia. Lui che organizza il fronte del No – il fronte del No interno al Pd, soprattutto – è ovviamente notizia capace di tenere banco tutta l’estate. Vuole riprendersi il partito? Vuole solo cacciare Matteo Renzi? È diventato veramente un conservatore o è finito con il diventare un girotondino, come lo dipinge l’ex fidato Matteo Orfini?

Sono tutte domande a cui ci risponde con calma, D’Alema, spiegandoci perché dice che «la scissione sta già avvenendo», anche se («al momento») non c’è un pezzo di gruppo dirigente che stia lavorando per quello scenario. Se vince il Sì non c’è nessuna rottura nel partito, ma si allargherà la frattura, si romperà la «connessione sentimentale», questo sì, che è innanzitutto con l’elettorato. Perché «questa riforma», ci spiega esempi e numeri alla mano, «è molto simile a quella approvata da Berlusconi nel 2005. Solo che allora la bocciammo». E l’elettore e il militante di base, se lo ricorda. Si ricorda, come si ricorda D’Alema, quello che diceva all’epoca Sergio Mattarella. Si ricorda le citazioni che andavano all’epoca, quando «dicevamo che “non baratteremo il superamento del bicameralismo con un sistema nel quale, in Parlamento, c’è un capo e seicento camerieri”».

Si parla della riforma costituzionale, su Left in edicola, ma anche della sinistra, di come il Pd potrebbe tornare la casa dei tanti elettori che l’hanno abbandonata, sostituiti solo in parte da un nuovo elettorato più moderato. «Qualcuno dovrebbe dire a Renzi», ad esempio, «che la Terza via è fallita e, tra l’altro, che è un’esperienza che risale a vent’anni fa: ed è difficile presentarla come il nuovo che avanza». D’Alema che rilegge se stesso, così come Clinton sta rileggendo se stessa in Ameria: «La Terza via è fallita», ci spiega, «perché, muovendo da una visione troppo ottimistica della globalizzazione, ha sottovalutato le contraddizioni che questo processo avrebbe aperto: nuove disuguaglianze, nuova povertà e quindi la necessità di una regolazione». Diseguaglianza, migranti, mercati, lavoro: un D’Alema keynesiano, ci spiega così quello che ha in mente. E perché non è un conservatore, «ma solo un uomo di buon senso».

Su Left in edicola e in digitale la lunga intervista a Massimo D’AlemaLeft in edicola dal 3 settembre

 

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