A Milano da oggi al 5 giugno il festival berbero di Milano. Tra incontri, cinema e musica, l'impegno civile di una minoranza che da sempre lotta per la democrazia. Parla il linguista Vermondo Brugnatelli

In Libia c’è una popolazione che vuole la pace e che potrebbe dare veramente una mano per la ricostruzione in senso federalista dello Stato. Sono le comunità berbere, quelle stesse che erano in prima linea nella rivolta a Gheddafi nel 2011. Quelle stesse che hanno applicato nei secoli la democrazia di villaggio e che adesso sarebbero pronte a dare il proprio contributo alla rinascita della Libia. Di questo impegno civile e dei possibili scenari politici in Libia si parlerà stasera alle 21, alla Casa della Cultura di Milano. È il primo appuntamento del Festival berbero di Milano, giunto alla sesta edizione (il programma qui) e che si concluderà il 5 giugno.

A promuoverlo è l’Associazione culturale berbera di Milano, l’unica in Italia, presieduta da Vermondo Brugnatelli, linguista, docente dell’Università Milano Bicocca e tra i massimi studiosi di lingua berbera. Come a dire, un mondo culturale antichissimo del Nordafrica ben prima dell’avvento degli Arabi, con una lingua, il Tamazight, di antiche origini camitiche. I berberi attualmente si trovano perlopiù in Marocco, Algeria, Tunisia, e Libia appunto.
Il festival,  si snoda tra cinema, e tanta musica, culminando nel concerto finale di domenica con musicisti che arrivano dal Marocco e dall’Algeria. Qui nel video alcuni artisti di un’edizione passata e presenti anche quest’anno: Kiki Ensemble e Malika Ferhat.

«Quest’anno ci saranno anche musicisti brasiliani», dice Brugnatelli che spiega come l’Associazione berbera faccia parte di una rete multiculturale del comune, Città mondo, che raggruppa tutte le associazioni delle comunità straniere di Milano. «Speriamo che continui anche sotto la prossima giunta», dice il professore.
L’incontro di stasera porta in primo piano la situazione ancora incandescente della Libia e del Nordafrica in generale. Dopo il 2011 le cosiddette primavere arabe la situazione non è affatto pacificata, anche per le infiltrazioni dell’Isis, gli attentati e l’anarchia che regna in Libia. Stasera ne parleranno Fathi Khalifa (Libia – ex presidente del Congresso Mondiale Amazigh), Marisa Fois (ricercatrice italiana esperta di geopolitica nordafricana) e appunto Vermondo Brugnatelli. È possibile seguire l’incontro in diretta streaming (qui)

«Con l’incontro cerchiamo di far circolare delle notizie sulla Libia. Di Libia  adesso si parla molto in Italia, anche se si scivola in discorsi “muscolosi” sulle armi e sui soldati da inviare», continua Brugnatelli. E invece è importante ascoltare chi la Libia la conosce e chi, come i Berberi, hanno un’idea di partecipazione democratica che li distingue  nel tormentato Nordafrica.
«I Berberi fin qui sono stati lasciati ai margini. In Libia tendono a prevalere forze esterne, sia le potenze occidentali che quelle del Golfo, pochi ascoltano le voci dei Berberi che peraltro sono abbastanza agguerriti non nel senso militare ma nel senso della partecipazione alla vita pubblica», spiega Brugnatelli. Il timore dei Berberi libici è quello di fare la fine degli algerini. Cioè di rimanere emarginati pur avendo contribuito (soprattutto dalla regione della Cabilia) alla lotta di liberazione contro i francesi. In Libia geograficamente i Berberi sono ben visibili, soprattutto nella regione vicina a Tripoli. Nella manifestazione seguita alla caduta di Gheddafi, racconta Brugnatelli che era presente, la piazza di Tripoli era piena di bandiere berbere. In alcune città  le comunità berbere hanno dato vita a esperienze di autogoverno. Come Zuara, (in berbero Tamurt n wat Willul) una città che si affaccia sul Mediterraneo e da cui partono i famigerati barconi con i migranti in fuga verso le coste italiane. «Lì, a Zuara, le autorità stanno creando istituzioni locali per fermare il fenomeno degli scafisti, visto che a livello nazionale la legge è molto blanda, loro tentano di combatterli a livello locale», racconta Brugnatelli. «Zuara è la stessa città in cui, quando ancora si combatteva Gheddafi, gli abitanti si mettevano in fila per andare a votar. Una volta liberati, si sono subito autorganizzati, hanno una grande sensibilità democratica», sottolinea il professore che ricorda un’anteprima delle primavere arabe passata sotto silenzio, ben dieci anni prima del 2011. «Era il 2001, e sempre in Cabilia, la gente si ribellò, chiedendo più democrazia. Ci furono scontri con la polizia, morirono un centinaio di persone, ma nessuno ne parlò, l’opinione pubblica europea è molto distratta», aggiunge.
Un mondo, quello berbero, che andrebbe riscoperto, proprio per creare dei ponti con l’altra sponda del Mediterraneo in nome dei diritti e della cultura. Seguendo, per esempio, il filo delle parole di Una canzone berbera di Zuara. Si intitola Talest, Umanità.
e alcuni versi dicono: Orsù, riuniamoci, orsù andiamo avanti/ Mano nella mano con tanto amore / abbiamo chiavi per tutte le porte / la porta della cultura, la porta dell’umanità / la porta della vita in cui tutti faremo festa.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.