«Ero una persona pacifica, ma mi sono trasformato: i fascisti avevano preso mio padre». Parla Mario Fiorentini, 99 anni, ultimo superstite tra gli organizzatori dell’attacco al battaglione Bozen, seguito dall’orrore delle Fosse ardeatine: «La strage non fu conseguenza della nostra azione»

Giorgio Amendola, esponente comunista della Resistenza, racconta in una lettera che il fragore dell’esplosione fu così lacerante che il boato riecheggiò nell’appartamento romano di via Propaganda fide, dove era in corso la riunione della giunta militare del Cln. Alcide De Gasperi, colonna portante della futura Democrazia cristiana, rivolgendosi al dirigente comunista, esclamò sorpreso: «Ne avete combinata un’altra delle vostre. Una ne fate e cento ne pensate».

Era il 23 marzo del ’44, quando diciotto chili di tritolo, nascosti in un carretto, esplosero nel cuore di via Rasella, travolgendo 33 uomini del battaglione Bozen, reggimento dell’esercito nazista. Alle 15 e 52, Rosario Bentivegna – nome di battaglia Paolo – travestito da spazzino, accese la miccia, osservando il manipolo risalire la china della via. Cinquanta secondi e poi il trambusto di schegge impazzite e il fuoco della detonazione. L’attentato – come lo chiamano alcuni – è ordito dalle fila comuniste della Resistenza romana. Carla Capponi, Carlo Salinari, Franco di Lernia, Gioacchino Gesmundo, Marisa Musu, Franco Calamandrei ed altri.

La città era occupata dai nazifascisti. Sette mesi di guerriglia urbana. I Gruppi di azione patriottica (Gap) avevano diviso Roma in otto zone di intervento. I partigiani attaccavano senza sosta le truppe occupanti e le camicie nere. In ogni quartiere gli echi della guerra combattuta sulle rive sabbiose di Anzio, crivellavano i muri di Forte Bravetta e di via Tasso. La rappresaglia nazista alla bomba fu una tragedia di proporzioni disumane. La mattina del 24 marzo, 335 italiani vennero uccisi e sepolti nelle cave di pozzolana, a pochi passi dalla via Ardeatina. Dieci italiani per ogni tedesco ammazzato. Le quarantotto ore che sconvolsero Roma e la sua memoria. Ancora oggi, la vulgata consolatoria della pacificazione nazionale e di una “guerra civile” mai combattuta, marchia i 335 morti come “vittime dei totalitarismi”.

A 74 anni dalla più grande e controversa azione partigiana che la storia ricordi, nel cicaleccio di via Rasella, incontro Mario Fiorentini. L’ultimo gappista delle zone centrali rimasto in vita. Occhi azzurri, criniera bianca e…

L’articolo di Maurizio Franco è tratto da Left in edicola


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