Ritratto di una scrittrice che ha osato alzare la testa contro uno Stato schiavo del giogo ecclesiastico. Quello stesso coraggio che l’ha portata a ingaggiare un corpo a corpo letterario con James Joyce di cui ha scritto una biografia, ancora inedita in Italia

Una vecchia struggente ballata irlandese di Christy Moore recita così: «Tutti sapevano, nessuno ha parlato… / Aveva solo quindici anni … / Se ne andò a partorire / In una grotta…». Era il 31 gennaio del 1984 in una cittadina sperduta nella contea di Longford. Una ragazzina, Anne Lovett, veniva trovata da alcuni coetanei, distesa e in preda a una grave emorragia, in una grotta dedicata alla Madonna. Accanto a lei un feto senza vita. Venne chiamato un prete, e, soltanto in seguito, un dottore. Anne morì prima che potesse arrivare l’ambulanza.
I giornali nazionali non se ne occuparono, a eccezione di qualche trafiletto su quelli locali.

Ma poi la notizia trapelò durante un noto talk show serale nonostante le resistenze di autori e presentatori, e subito la redazione venne subissata di telefonate indignate. La coscienza del Paese provava a scuotersi, e lo faceva a quattro mesi esatti dalla bocciatura di un referendum sull’aborto in cui gli irlandesi avevano votato difendendo le posizioni “a favore della vita” caldeggiate della Chiesa cattolica. Ma forti furono i tentativi di insabbiare la storia e di far passare tutto sotto silenzio. Nemmeno i media dovevano osare alzare la testa, in un Paese ancora sotto il giogo ecclesiastico.

Passarono dieci anni e nel Cregg Wood, presso il paesino di Whitegate, uno squilibrato di nome Brendan O’Donnell uccise brutalmente una donna, l’artista Imelda Riney, e il suo bambino Liam, oltre ad un parroco del luogo. Una volta in manette Brendan affermò di esser stato guidato dal demonio mentre commetteva i suoi omicidi, dimostrando una condizione mentale altamente disturbata ma anche un animo ossessionato da fantasmi legati a una religiosità deviante. Anche stavolta la notizia riuscì a circolare ma senza fare troppo clamore, finché non fu un’artista a tentare di risvegliare le coscienze del popolo irlandese. Fu infatti la scrittrice Edna O’Brien nel 2002 a rivangare quel crimine orrendo, modificando ovviamente i nomi dei protagonisti, nel suo scioccante In the forest, mettendo così alla berlina ancora una volta la reazione di uno Stato abituato a non voler mai collegare inusitate eruzioni di violenza a una atavica…

L’articolo di Fabio Pedone ed Enrico Terrinoni prosegue su Left in edicola dal 19 ottobre 2018


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