Fondò "Mujeres Libres", una rivista e un movimento impegnati nella lotta per l'emancipazione della donna e nella resistenza antifascista. Figura centrale della storia delle lotte dei lavoratori e delle donne del secolo scorso, è la "protagonista" del nuovo libro di Michela Cimbalo che firma questo articolo

Un vulcano di idee rivoluzionarie e di energia costruttiva racchiusi in un fisico minuto, mostrava un carattere riservato e poco incline al protagonismo, ma quando prendeva la penna in mano, per scagliarsi contro il sistema capitalista e la società patriarcale, ne uscivano articoli di fuoco che difficilmente potevano lasciare indifferenti.
Lucía Sánchez Saornil, anarchica e femminista spagnola (1895-1970), è una figura dimenticata della storia dei movimenti dei lavoratori e delle battaglie delle donne del secolo scorso. Eppure, la sua complessa e avventurosa traiettoria di vita e il suo pensiero innovativo e controcorrente hanno molto da dire ancora oggi.
Intellettuale autodidatta di estrazione proletaria, è stata giornalista, poetessa, sindacalista e dirigente di alcune importanti realtà del movimento anarchico spagnolo e internazionale. Ha saputo analizzare il proprio tempo con uno sguardo particolarmente acuto, cogliendo i nodi centrali del sistema di genere a lei contemporaneo e proponendo un’originale sintesi tra anarchismo e femminismo.

Da giovane aveva militato nelle avanguardie artistiche, unica donna presente tra i poeti aderenti al movimento spagnolo dell’Ultraismo. I suoi poemi d’amore, scritti nei ritagli di tempo del suo lavoro come telefonista, erano percorsi da una dirompente carica erotica, e già questo basterebbe per definirli azzardati, considerando la morale dell’epoca. Ma c’era qualcosa di più: Lucía Sánchez Saornil vi parlava esplicitamente di attrazione omosessuale, descrivendo attraenti corpi di donne e le inquietudini che le suscitavano. Per firmarli utilizzava spesso uno pseudonimo maschile alternato al suo vero nome, giocando e sperimentandosi con identità diverse, alla ricerca di una propria rappresentazione non binaria, non predefinita.

Nel frattempo portava avanti le sue prime battaglie sindacali, nel difficile contesto della dittatura di Primo de Rivera e in un settore lavorativo, quello della telefonia, nel quale si erano da poco aperti ampi spazi alle donne, ma dove la manodopera femminile era costantemente sottopagata e sottoposta a una rigida disciplina.
Lasciati gli ambienti letterari alla fine degli anni Venti, si era data anima e corpo alle lotte del movimento anarchico, militando nella Cnt (Confederación Nacional de Trabajo), il sindacato che riuniva centinaia di migliaia di lavoratori spagnoli. Dava conferenze, teneva lezioni per quei lavoratori che non avevano avuto la possibilità di istruirsi, e scriveva ininterrottamente per la stampa anarchica. La sua produzione giornalistica era così prolifica e di qualità che all’inizio degli anni Trenta era entrata a far parte della redazione del quotidiano nazionale del sindacato, anche in questo caso unica donna in un collettivo tutto al maschile.

Convinta sostenitrice della necessità di un’azione rivoluzionaria che abbattesse il sistema capitalista, riteneva tuttavia che ciò non fosse sufficiente: per giungere a una trasformazione radicale della società andava innescato anche un cambiamento profondo nei rapporti tra i due sessi, bisognava sovvertire uno status quo che teneva relegate le donne in un’intollerabile posizione d’inferiorità. Credeva fermamente che queste due rivoluzioni andassero di pari passo e che nessuna delle due avrebbe potuto realizzarsi pienamente senza l’altra.
Le riflessioni maturate nel corso degli anni sulla condizione di subordinazione patita dalle donne e la sperimentazione sulla propria pelle delle difficoltà che esse incontravano nell’acquisire un ruolo di primo piano nelle lotte sociali, trovandosi discriminate perfino all’interno degli ambienti anarchici, portarono Lucía Sánchez Saornil alla conclusione che fosse necessaria una battaglia femminile indipendente, che le donne dovessero unirsi e lottare in prima persona per conquistare la propria liberazione.

Fu così che nella primavera del 1936, assieme ad altre militanti anarchiche, fondò Mujeres Libres (Donne Libere), una rivista prodotta da sole donne e rivolta a un pubblico femminile. Pochi mesi dopo, di fronte alla situazione bellica scatenata dal tentato colpo di Stato del luglio 1936 contro la Repubblica e sotto la spinta propulsiva della resistenza antifascista, l’iniziale progetto editoriale messo in piedi da questo piccolo collettivo di anarchiche si trasformò in una vera e propria organizzazione femminile, un’ampia forza schierata a sostegno del fronte repubblicano.

Mujeres Libres si espanse rapidamente su tutto il territorio non conquistato dai golpisti, arrivando a contare più di 20.000 aderenti e configurandosi come la seconda più grande organizzazione di donne della Repubblica spagnola. La sua peculiarità, che la distingueva da altre organizzazioni femminili coeve, risiedeva soprattutto nell’essere una realtà autonoma, formata e gestita da sole donne. Non era una semplice sezione femminile di partito come le molte che erano state create in Spagna in quegli anni, e rivendicava con forza la propria indipendenza e volontà di autodeterminazione. Si prefiggeva il duplice intento di sostenere il fronte repubblicano e gli esperimenti rivoluzionari che vi si stavano verificando, e allo stesso tempo di promuovere l’emancipazione delle donne, favorendone un percorso di autoformazione e di presa di coscienza che consentisse loro di superare quella che Mujeres Libres definiva una condizione di doppio sfruttamento, da una parte come lavoratrici e dall’altra in quanto donne.

Lucía Sánchez Saornil ne divenne la segretaria nazionale e l’organizzazione avviò una miriade di iniziative a sostegno del fronte repubblicano, mentre apriva istituti dove si svolgeva una mutua formazione tra donne a livello culturale, professionale e politico, rivendicando la necessità di spazi separati e liberi da influenze maschili. Nel frattempo Lucía Sánchez Saornil moltiplicava febbrilmente le sue attività: si recava al fronte per scrivere reportages sull’andamento della guerra e nelle fabbriche collettivizzate per raccontare la nuova organizzazione del lavoro, diveniva redattrice di nuove riviste anarchiche e assumeva l’incarico di segretaria a livello internazionale di Solidaridad International Antifascista, organizzazione creata in vari paesi a sostegno della Spagna repubblicana.

Poi, con la disfatta della Repubblica nel 1939, si aprì per lei come per centinaia di migliaia di altri spagnoli il periodo dell’esilio, che affrontò a fianco della sua compagna, América Barroso García. Insieme condivisero tutto: la militanza clandestina per salvare i repubblicani spagnoli dai campi di concentramento francesi, l’invasione nazista del 1940, le persecuzioni della polizia di Vichy e infine il ritorno obbligato nella Spagna schiacciata dalla dittatura franchista.
Si chiudeva così brutalmente un’epoca di grandi speranze di cambiamento sociale, nella quale anche alcune donne, come lei, avevano provato a mettere in atto la propria rivoluzione, anticipando di molti decenni le rivendicazioni di generazioni successive, quando sarebbero finalmente arrivati, come scriveva nei suoi ultimi versi, “altri sogni per nuovi cuori”.

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L’autrice: Michela Cimbalo, dottoressa di ricerca in Human Mind and Gender Studies presso l’Università Federico II di Napoli, è autrice del libro “Ho sempre detto noi. Lucia Sanchez Saornil, femminista e anarchica nella Spagna della Guerra Civile” (Viella, 2020)

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Dieci storie di donne libere e rivoluzionarie
Su Left del 14-20 agosto

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