8 agosto 1956, una miniera esplode in Belgio. Fra i morti anche 138 emigrati italiani. Per loro non c'è ancora stata vera giustizia

8 agosto 1956, un fumo si levò da Bois du Cazier, una miniera di carbone a Charleroi. Il fumo nero usciva dai pozzi. Come ogni mattina trecento lavoratori erano scesi sottoterra per cercare di guadagnarsi la giornata. Ne uscirono vivi solo 38. Molti di quegli uomini rimasti sotto erano italiani emigrati che avevano sperato in una vita migliore in Belgio e per questo si erano adattati a fare i minatori senza garanzie, vivendo in baracche una volta usate per i prigionieri di guerra. Le cause dell’incidente non sono mai state del tutto chiarite, i responsabili se la sono cavata con una condanna di sei mesi. Ma anche l’Italia ha “dimenticato” quelle vittime. Per lunghi anni è stato un buco nella nostra storia. Pochissime le pubblicazioni che abbiano cercato di far chiarezza. Fra questi un toccante libro di Paolo Di Stefano, La catastofa, uscito nel 2011 per i tipi di Sellerio. Lo scrittore e giornalista fece un lungo viaggio alla ricerca di testimonianze delle vedove, dei figli, e dei sopravvissuti. Dall’intreccio polifonico di voci  da quel libro emerge il quadro di una tragedia che ha a che fare con la povertà, con l’emigrazione, con la speranza di poter ricominciare altrove in una terra che si immagina più ricca e accogliente e che finisce in tragedia. Come accade oggi a tanti migranti che cercano di arrivare in Italia, a costo di enormi sacrifici e rischi, avendo attraversato il deserto della Libia, per poi annegare nel Mediterraneo. (seguendo questo filo Di Stefano ha scritto poi un libro dedicato proprio ai migranti dall’Africa e dai Paesi arabi, I pesci devono nuotare, Rizzoli).
Quando Piero Grasso, allora presidente del Senato andò a Marcinelle, per la commemorazione parlò della necessità di «Ripensare come eravamo e vivevamo», «rafforza la nostra determinazione ad accogliere con spirito di solidarietà chi oggi è costretto a migrare e ha diritto alla protezione internazionale». Per le migliaia di migranti che hanno perso la vita nel Mediterraneo non c’è giustizia, né memoria degna di questo nome. «No a marginalizzazioni», dice oggi il presidente della Repubblica Mattarella, ricordando anche l’urgenza di mantenere salda tutela dei lavoratori.

Lo dice anche un piccolo ma, a nostro avviso, significativo episodio accaduto quando la direzione della libreria di Le Bois du Cazier, sede della miniera in cui accadde la catastrofe si rifiutò  anni fa di presentare e di vendere La catastrofa. «Siamo spiacenti di informarLa che dobbiamo rifiutare la Sua proposta ma rispettiamo il lavoro di memoria realizzato da Lei» scriveva il direttore Jean-Louis Delaet in una lettera a Di Stefano. Per quanto «il parere di ognuno sull’argomento sia rispettabile», era scritto in quella missiva le testimonianze dei sopravvissuti e dei famigliari delle vittime, secondo il direttore della libreria annessa al museo, contenevano «fantasiose affermazioni». E questo nonostante tutte le fonti usate nel libro fossero documentate e molte venissero dalla voce viva di chi quel dramma lo aveva vissuto sulla propria pelle. La ricostruzione di quel che accadde l’8 agosto 1956, da parte belga, chiede ancora inacettabili censure ed epurazioni.