«Non poche organizzazioni calcistiche europee presenteranno il conto alla Federazione rispetto alle dichiarazioni espresse e agli atteggiamenti e comportamenti che ha tenuto» dice il portavoce di Amnesty Italia, autore del libro "Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento"

«Il mondiale in Qatar è sfuggito decisamente di mano alla Fifa e sono convinto che non poche federazioni calcistiche europee le presenteranno il conto rispetto alle dichiarazioni espresse e agli atteggiamenti e comportamenti che ha tenuto» dice a Left il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury. Lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, Qatar 2022, i Mondiali dello sfruttamento, edito da Infinito edizioni.

Il 95% della forza-lavoro in Qatar proviene da lavoro migrante, mentre 2 milioni di lavoratori denunciano sfruttamento, stipendi mancati e condizioni di vita difficilissime. Dal 2010, anno in cui sono cominciati i lavori per Qatar 2022, fino al 2020 sono morti 6.750 lavoratori migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, ma il 67% di questi decessi è attribuito ufficialmente a cause naturali o ad arresto cardiaco. Quali sono le condizioni dei lavoratori migranti in Qatar e perché fino ad oggi ne abbiamo sentito parlare poco?
Per dodici anni, quelli trascorsi dall’assegnazione dei Mondiali al Qatar e il loro inizio, centinaia di migliaia di lavoratori migranti hanno lavorato in condizioni di schiavitù: vincolati al datore di lavoro dal sistema della kafala, sottoposti a orari di lavoro massacranti, impossibilitati ad accedere alla giustizia per reclamare stipendi trattenuti anche per anni e costretti ad alloggiare in condizioni subumane. Nessuna meraviglia che siano morti a migliaia: tutti d’infarto, secondo le autorità, e quasi tutti non sul lavoro (poiché stramazzavano, senza riprendere conoscenza, nei lettini nei quali dormivano due o tre ore a notte). Ciò ha impedito, tra l’altro, alle famiglie delle vittime, di ricevere risarcimenti: quelli che da mesi Amnesty International chiede alla Fifa di garantire, attraverso la messa a disposizione di un fondo di 440 milioni di dollari, cifra che equivale a quella versata dalla Federazione per organizzare l’evento sportivo in Qatar. Le riforme avviate nel 2017 hanno introdotto qualche miglioramento: abolizione della kafala (che peraltro, di fatto, è ancora utilizzata per costringere i lavoratori a ottenere, dietro elevate somme, il nulla-osta del datore di lavoro per cambiare impiego o lasciare il Paese), salario minimo, comitati per la risoluzione delle controversie, interruzione del lavoro nelle ore più calde. Di queste riforme hanno beneficiato comunque pochi lavoratori, quelli dei cosiddetti “siti ufficiali”. Tuttora non è possibile iscriversi a sindacati né ovviamente fondarli.

Spesso si è sentito parlare di greenwashing, ma adesso si parla anche di sportwashing. Lei come definirebbe quest’ultimo termine?
È una strategia di pubbliche relazioni applicata dagli Stati del Golfo, che utilizza gli appuntamenti sportivi per esibire grandi capacità di organizzare eventi internazionali ma anche e soprattutto per “sbiancare” l’immagine negativa di un Paese, soprattutto per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Presentarsi al mondo moderni, competitivi e “puliti”, insomma. Lo sportwashing è efficace perché sfrutta due elementi: la passione del pubblico sportivo (“Lasciateci divertire!”) e la scarsa dimestichezza del giornalismo di settore per quanto riguarda la situazione dei diritti umani (“È roba della redazione esteri!”). Si basa sulla narrativa per cui “sport e diritti umani sono questioni diverse”, peraltro messa in dubbio sin dalla finale di Coppa Davis del 1976 tra Italia e Cile disputata a Santiago durante la dittatura di Pinochet e dai boicottaggi che in seguito avrebbero segnato varie edizioni delle Olimpiadi, compresa quella dell’inverno 2022 in Cina.

La Fifa è la maggiore responsabile per l’organizzazione dei mondiali di calcio in Qatar. L’attuale presidente, Gianni Infantino, nel corso della conferenza stampa inaugurale dei Mondiali ha dichiarato: «Oggi ho sentimenti molto forti. Oggi mi sento qatariota, mi sento arabo, mi sento africano, mi sento gay, mi sento disabile, mi sento un lavoratore migrante». Poi ha aggiunto: «Polemiche ipocrite dall’Occidente. Per quello che abbiamo fatto in passato, noi europei non dovremmo dare lezioni morali a nessuno». Tuttavia, la prima ipocrita non è proprio la Fifa stessa, che teoricamente dovrebbe battersi contro ogni forma di razzismo e discriminazione etnica e sessuale, ma invece decide di giocare i mondiali in Qatar e impedisce ai calciatori di protestare vietandogli l’uso della fascia arcobaleno Lgbtqia+? Ci sono state delle nazionali che hanno cercato di opporsi a tali divieti? Qual è la situazione in Qatar per le persone Lgbtqia+?
Il presidente Infantino si è “sentito gay” al punto da impedire, di lì a poche ore, di esprimere qualsiasi forma di solidarietà nei confronti della comunità Lgbtqia+ del Qatar. L’articolo 296.3 del codice penale criminalizza vari atti sessuali consensuali tra persone dello stesso sesso e prevede il carcere, ad esempio, per chi «guidi, induca o tenti un maschio, in qualsiasi modo, a compiere atti di sodomia o di depravazione». L’articolo 296.4 criminalizza chiunque «induca o tenti un uomo o una donna, in qualsiasi modo, a compiere atti contrari alla morale o illegali». Nell’ottobre 2022 le organizzazioni per i diritti umani hanno segnalato casi in cui le forze di sicurezza hanno arrestato persone Lgbtqia+ in luoghi pubblici, solo sulla base della loro espressione di genere, controllando i contenuti dei loro telefoni. Le transgender arrestate sono obbligate a seguire terapie per la conversione come condizione per la loro scarcerazione.

Lo scorso 24 novembre il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che definisce la corruzione all’interno della Fifa “dilagante, sistemica e profondamente radicata” e chiede alla Federazione internazionale e al Qatar di risarcire tutte le vittime dei preparativi per i mondiali di calcio. Molte famiglie delle vittime si sono dovute indebitare solo per fare il funerale al proprio caro. Secondo lei questa risoluzione del Parlamento europeo contribuirà a cambiare le cose? Ci sarà il risarcimento ed un cambio di marcia all’interno della Fifa o finito il mondiale non si parlerà più di nulla?
Difficile prevedere cosa succederà rispetto alla richiesta di aprire il fondo di risarcimento. Se non è certo l’esito di questa istanza, è invece sicuro che nulla sarà come prima all’interno della Fifa. Questo mondiale le è sfuggito decisamente di mano e sono convinto che non poche federazioni calcistiche europee presenteranno il conto rispetto alle dichiarazioni, agli atteggiamenti e ai comportamenti della Fifa.

A Monaco, a 16 kilometri di distanza dal campo di concentramento di Dachau, nel 1972, nonostante l’attentato dell’organizzazione terroristica Settembre nero che causò la morte di 11 atleti israeliani, le olimpiadi proseguirono comunque. Oggi i mondiali in Qatar, nonostante la morte di migliaia di lavoratori migranti, vanno avanti in un silenzio quasi assordante. Perché di fronte ad eventi tragici come questi lo sport, che dovrebbe perseguire i valori della tolleranza, della pace, e dei diritti umani, al posto di fermarsi decide di avanzare? Nello sport, e nel calcio in particolare, ormai l’unica cosa davvero importante, non importa a discapito di chi, è il profitto economico?
La ragione ha un nome: il denaro. Il denaro investe nello sport perché è l’attività globale che determina umori e stati d’animo di almeno quattro miliardi di abitanti di questo pianeta. Lo sport, a sua volta, ha raggiunto una dimensione così gigante da non poter fare a meno del denaro. Questo circolo vizioso sovrasta ogni altra considerazione. C’è da sperare che la parte più sana, ossia gli atleti e i tifosi, prendano la parola.

 

* L’autore: Andrea Vitello è specializzato in didattica della Shoah e graduato a Yad Vashem. Ha scritto il libro, con la prefazione di Moni Ovadia, intitolato Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca (Le Lettere 2022). Scrive su Pressenza e su Left