Dal 16 settembre, il periodo di calo degli sbarchi in Italia è entrato nel suo quindicesimo mese. Lo scorso agosto in Italia sono sbarcate meno di 1.500 persone: il numero più basso per un mese estivo dal 2012, l’anno che ha preceduto l’inizio della “crisi migratoria” in Italia. E, nonostante da inizio settembre l’instabilità politica in Libia sia ulteriormente aumentata, le partenze dal paese sono rimaste comunque molto basse.
È dunque giunto il momento di domandarsi: quanto conviene all’Italia inasprire ulteriormente le azioni e le politiche volte a scoraggiare gli arrivi via mare? È una questione di costo-opportunità, che deve includere una riflessione su quanto capitale politico l’Italia intenda spendere sul fronte della questione migratoria, e dove. La risposta non può prescindere dal costo in termini di vite umane che accompagna, a oggi, l’ulteriore stretta sui salvataggi in mare inaugurata dal nuovo governo italiano.
Le politiche di deterrenza nei confronti dei salvataggi in mare non sono nuove. Il 2017 era già stato costellato dal montare delle polemiche sul ruolo delle Ong, accusate da molti di costituire un pull factor, ovvero di incoraggiare, con il loro spingersi quasi a ridosso del mare territoriale libico, le partenze dalla Libia. Malgrado la plausibilità dell’ipotesi, urge ricordare che i dati ci dicono qualcosa di diverso, ovvero che le attività di salvataggio in mare delle Ong non hanno avuto alcuna influenza sull’intensità dei flussi migratori irregolari dalla Libia. Al contrario, il grande calo delle partenze dalla Libia e degli sbarchi in Italia ha una causa ben precisa, che va ricercata sulla terraferma libica: la decisione di iniziare a collaborare con l’Italia e con l’Ue, presa nel luglio 2017 da una serie di milizie libiche che gestivano o tolleravano i traffici irregolari.
Va inoltre ricordato che, nonostante il governo Renzi avesse chiesto alle Ong di firmare un controverso “codice di condotta” o sospendere le operazioni in mare, fino a maggio di quest’anno le azioni di ricerca e soccorso non sono mai state apertamente e attivamente osteggiate dal governo italiano. Dallo scorso giugno, con l’entrata in carica del governo Conte, la strategia è cambiata. Alla cooperazione con gli attori che in terra libica gestiscono i traffici si sono affiancate vere e proprie azioni di deterrenza nei confronti non soltanto delle Ong, ma di chiunque operi salvataggi in mare lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Incluse navi mercantili, assetti navali di Frontex e persino della Guardia costiera italiana.
Proprio il cambio di passo della strategia italiana consente una riflessione più precisa sulle possibili conseguenze dell’ulteriore stretta nei confronti delle operazioni di soccorso in mare, utilizzando i dati di cui si dispone a oggi.
Per poter confrontare le conseguenze delle diverse politiche migratorie, è utile suddividere il recente passato in tre periodi:
- I dodici mesi precedenti al calo degli sbarchi: dal 16 luglio 2016 al 15 luglio 2017;
- Il periodo delle “politiche Minniti”, che va dall’inizio del calo degli sbarchi all’entrata in carica del governo Conte: dal 16 luglio 2017 al 31 maggio 2018;
- Il periodo delle “politiche Salvini”, ovvero quello successivo all’entrata in carica dell’attuale compagine di governo: dal 1 giugno al 30 settembre 2018.
Osserviamo perciò cos’è accaduto nei tre periodi sia sul fronte degli sbarchi in Italia, sia su quello del numero (stimato) di morti e dispersi in mare. Per rendere facilmente confrontabili periodi di durata differente, utilizziamo dati calcolati su base giornaliera.
Prima di continuare, va sottolineato che questo esercizio considera come assodate e impossibili da quantificare le terribili condizioni dei migranti in Libia. Questi ultimi sono quasi sempre detenuti per lunghi periodi di tempo e soggetti a trattamenti inumani e degradanti (secondo MEDU, questa sorte è toccata ad almeno l’85% di chi è sbarcato in Italia negli ultimi anni), o addirittura a torture.
Sbarchi in Italia. Nei dodici mesi precedenti al calo degli sbarchi, in Italia sono arrivate dal mare in maniera irregolare circa 195.000 persone. Con il passaggio alle politiche Minniti si è invece osservato un netto calo degli arrivi, proseguito in maniera molto lineare per circa 11 mesi.
Utilizzando i dati su base giornaliera si può notare come, nei 12 mesi precedenti al calo degli sbarchi, in Italia arrivassero irregolarmente dal mare 532 persone al giorno (vedi fig. 1). Nel periodo che coincide con l’attuazione delle politiche Minniti, tale numero è sceso del 78%, per un totale di 117 persone al giorno. Il periodo che corrisponde alle politiche Salvini ha fatto registrare un’ulteriore riduzione degli sbarchi (circa 61 al giorno): una contrazione equivalente al 48% rispetto al periodo delle politiche Minniti, e all’89% se confrontata con l’ultima fase della “crisi migratoria” in Italia.
Morti e dispersi nel Mediterraneo centrale. Spesso, le analisi che studiano le morti in mare nel Mediterraneo pongono l’accento sul rischio di morte, calcolando la probabilità di perdere la vita nel corso della traversata. Questo settembre, per esempio, il 19% di chi sappiamo avere tentato la traversata dalla Libia è risultato morto o disperso – una percentuale mai registrata lungo la rotta del Mediterraneo centrale da quando si dispone di statistiche sufficientemente accurate.
Tuttavia, anche se rischio di morte rimane una variabile importante, non è quella dirimente: se dalle coste libiche partissero solo tre persone e una risultasse morta o dispersa, il rischio sarebbe altissimo (33%), ma la rilevanza politica dell’evento sarebbe molto bassa. Il decisore politico dovrebbe essere invece molto più interessato alla stima del numero assoluto delle persone effettivamente morte o disperse in mare in un dato periodo di tempo.
Basandoci proprio su questo dato emerge una dinamica molto diversa rispetto a quella di costante diminuzione riferibile agli sbarchi in Italia. Nel periodo precedente al calo degli sbarchi, infatti, si stima che siano morte poco meno di 12 persone al giorno (vedi fig. 2). Il periodo che coincide con le politiche Minniti è stato accompagnato da una netta diminuzione del numero assoluto dei morti, sceso a circa 3 persone al giorno. Ai quattro mesi di politiche Salvini corrisponde invece un nuovo forte aumento del numero di morti e dispersi, tornati ad aumentare fino a raggiungere le 8 persone al giorno. Il trend delle morti in mare segue una caratteristica curva a “V”: si è drasticamente ridotto nel corso della prima fase del calo degli sbarchi, ma ha poi fatto registrare un nuovo balzo verso l’alto durante gli ultimi quattro mesi. Per comprendere le effettive dimensioni del fenomeno, basti pensare che il numero di morti e dispersi al giorno registrato in corrispondenza delle politiche Minniti sarebbe raggiungibile dal periodo di politiche Salvini solo se, lungo la tratta libica, non venissero registrati morti e dispersi per i prossimi sei mesi.
Il costo-opportunità delle politiche di deterrenza. È ora possibile mettere a confronto i due periodi successivi al calo degli sbarchi. Come mostrato in Fig. 3, ai due periodi corrispondono trend nettamente diversi, in particolare sotto il profilo del numero di morti e dispersi in mare. Mentre infatti il periodo di attuazione delle politiche Minniti è coinciso con un calo dei morti e dispersi in mare pressoché in linea con quello della riduzione degli sbarchi in Italia, il periodo che corrisponde alle politiche Salvini ha visto un’ulteriore diminuzione degli arrivi (-48%) ma anche un forte incremento del numero di morti e dispersi in mare (molto più che raddoppiato).
Dal momento che il calo degli sbarchi era già in gran parte avvenuto nel corso dei mesi precedenti l’inizio del governo Conte, in termini assoluti i “risultati” delle politiche Salvini in termini di minori sbarchi in Italia sono ancora più modesti. Proiettando entrambe le politiche su un arco temporale di un anno, le politiche Minniti avrebbero infatti portato a un calo di circa 150.000 unità, da 194.000 a 43.000 sbarchi in Italia. Ereditando la situazione di arrivi in Italia del periodo Minniti, le politiche Salvini non potevano già in partenza aspirare a riduzioni simili: come è ovvio gli sbarchi in Italia possono ridursi al massimo fino a zero. A fronte di questo limite assoluto, i risultati dei primi quattro mesi di governo Conte permettono di stimare sbarchi per circa 15.000 in un anno, e dunque un calo di circa 28.000 sbarchi rispetto ai 43.000 del periodo Minniti.
In conclusione, le politiche Salvini di ulteriore deterrenza in mare sono coincise con un calo degli sbarchi di circa 28.000 unità, equivalente a meno del 20% rispetto al calo di 150.000 unità fatto registrare con le politiche Minniti. Allo stesso tempo, il periodo di politiche Salvini ha coinciso con un forte aumento delle morti in mare, che hanno invertito il trend di netta diminuzione del periodo precedente.
Nella valutazione delle politiche pubbliche non dovrebbe mai mancare una riflessione sul costo-opportunità di ciascuna decisione. A quattro mesi dall’inizio della stretta sui salvataggi in mare, alla luce dei numeri in nostro possesso, appare come minimo dubbia l’utilità delle politiche di deterrenza nei confronti del soccorso in mare che, a fronte di una riduzione relativamente modesta degli sbarchi in Italia, ha coinciso con un forte aumento del numero di morti e dispersi.