Il Patto sull’immigrazione approvato dal Parlamento europeo inasprisce le politiche degli ultimi anni. Non risolve il problema dei Paesi di primo ingresso e le procedure accelerate dei rimpatri minacciano di far crescere le violazioni dei diritti umani
Il ministro dell’Interno Piantedosi, a proposito del Patto europeo Migrazione e asilo, dopo l’accordo di premessa di Consiglio e Parlamento, il 20 dicembre scorso, aveva ringraziato con entusiasmo chi aveva contribuito a «superare il regolamento di Dublino per gestire in una forma veramente solidale la sfida delle migrazioni». In realtà, il testo approvato il 10 aprile non toccherà il regolamento Dublino e lascerà alla “buona volontà” degli Stati ogni approccio solidale. Più si prova a decriptare il testo approvato più lo si trova opaco, anche se una cosa è chiara. Dopo il lungo braccio di ferro, iniziato con la proposta in Commissione europea del 23 settembre 2020 non avranno benefici né le persone accolte né, tanto meno, i Paesi più esposti agli arrivi. Occorreranno comunque due anni per la piena attuazione del Patto e nel secondo semestre 2024 a presiedere l’Unione andrà Orbán, uno dei principali oppositori del Patto. La Commissione, in collaborazione con le agenzie competenti dell’Ue e dei suoi Stati membri, dovrà preparare un piano di attuazione per garantirne l’adeguamento comune. Il testo avrà sì valore dal giugno 2024 ma i necessari piani dei singoli Stati giungeranno sei mesi dopo l’entrata in vigore dei cinque regolamenti su cui il Patto si fonda. Il primo riguarda norme per uniformare l’identificazione, nel momento dell’arrivo, di chi proviene da Paesi terzi, in nome della sicurezza all’interno dello spazio Schengen. Il secondo regolamento riguarda “Eurodac” (il database europeo delle impronte digitali) che oggi è incompleto e che servirà ad una banca dati comune e aggiornata per individuare e fermare i “movimenti non autorizzati” all’interno dell’Unione. Il terzo regolamento è quello sulle procedure di asilo per rendere più rapido il rimpatrio alla frontiera di chi risulta non aver diritto alla protezione. In Italia si sta già provando ad attuarlo e prevede che per chi giunge da Paesi ritenuti sicuri (casi in cui l’80% delle domande sono respinte), si possa usare la procedura accelerata: respingimenti in 28 giorni, salvo casi particolari. Il quarto regolamento prevede meccanismi di riequilibrio solidale fra gli Stati membri, per ovviare al fatto che le richieste di asilo sono concentrate in pochi Paesi fra cui l’Italia. Potenziare i ricollocamenti di chi ha diritto a protezione, ma senza poterli renderli realmente obbligatori è inefficace. Ci si potrà sottrarre infatti alla richiesta di accoglienza versando 20mila euro per ogni profugo non accolto, ma non si prevedono procedure di infrazione per il Paese che si oppone al ricollocamento e neanche per quello che non versa la quota richiesta.

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login