Occupazione in crescita, ma retribuzioni in calo. Le statistiche vanno lette nel contesto: alla crescita quantitativa non ne corrisponde una qualitativa, basti pensare al settore del turismo legato a stagionalità e precarietà
Non basta leggere i dati dell’occupazione in termini quantitativi e, soprattutto, separati dal contesto economico e sociale nel quale sono inseriti. È indubbio che, da un punto di vista puramente statistico, ci troviamo di fronte ad una crescita dell’occupazione, che ci viene segnalata dall’Istat che ha caratteristiche da record. Le rilevazioni di questi dati sono iniziate nei lontani anni Settanta e non avevano mai registrato prima d’ora un tasso di attività superiore al 62%, né un numero di occupati di oltre 23 milioni e 700 mila unità. Ma queste statistiche, da sole, non ci dicono se ci troviamo di fronte a un aumento occupazionale di qualità o se, viceversa, registriamo un mero dato quantitativo prevalentemente riconducibile alla crescita di settori, come il turismo, che hanno tradizionalmente contratti di lavoro meno remunerati, stagionalità e precarietà nei rapporti di lavoro, la presenza di lavoro nero e grigio e orari “corti”: tutti fattori che portano alle basse retribuzioni. Infatti, stiamo registrando una crisi dei settori industriali e della manifattura, anche certificata dai dati dell’Osservatorio della associazione Lavoro&Welfare sulla cassa integrazione, che si basano sulle rilevazioni dell’Inps (nei primi quattro mesi del 2024 le ore di cassa integrazione autorizzate sono aumentate del 31,22% nel settore meccanico, del 42,10% in quello metallurgico, del 155,58% nel settore pelli e cuoio e del 48,12% nel tessile). Al contrario, nel settore del turismo, assistiamo ad una crescita di attività e di presenze nel nostro Paese che ha superato il dato del 2019, vale a dire prima della pandemia. Quindi, per far fronte a questa domanda di turismo, registriamo una forte richiesta di camerieri, di barman, di bagnini, deejay e di lavoratori delle pulizie, e via elencando, per i quali non possiamo immaginare né una scontata continuità lavorativa e contributiva, né, nella maggioranza dei casi, retribuzioni soddisfacenti. Inoltre, il dato della crescita occupazionale si accompagna ad una produttività stagnante, che pone il nostro Paese al fondo delle classifiche europee; si correla ad una crescita del prodotto interno lordo prevista per l’anno in corso allo 0,9%, quindi a bassa intensità (vogliamo ricordare però che, secondo Banca d’Italia, la crescita del Pil resta confermata per ora allo 0,6% nel 2024); ad una perdita importante di potere d’acquisto dei salari a fronte dell’impennata inflazionistica registrata nell’anno precedente.

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