Fino al 30 giugno, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, una importante retrospettiva di Bai Ming, artista nato a Yugan, nella provincia di Jiangxi, nel 1965. Reinventa, fra molto altro, l'antica tradizione della ceramica

La prima personale italiana dell’artista cinese contemporaneo Bai Ming, a cura di Jean Louis Andral, direttore del Musée Picasso di Antibes, dopo la tappa al Cernuschi, (il museo parigino dedicato alle arti dell’estremo oriente), a Cannes e, più di recente, alla Kwai Fung Hin Art gallery di Hong Kong (la fondazione Kwai Fung figura tra gli organizzatori della presente mostra) approda fino al 30 giugno, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Nato a Yugan, nella provincia di Jiangxi, nel 1965, Bai Ming è un artista contemporaneo che ha messo al centro della sua creazione artistica la ceramica. Le opere di questo artista dialogano con le antiche tradizioni della ceramica cinese ma, allo stesso tempo, offrono una visione del mondo e un linguaggio originali e personali, che si sono conquistati col tempo una visibilità e rinomanza in patria e all’estero (Bai Ming è direttore del dipartimento di arte ceramica presso l’Accademia di Arte e Design della Tsinghua University di Pechino). A giudicare dalle opere esposte in questa mostra, quello di Bai Ming è un linguaggio comprensibile e diretto, in grado di incantare il visitatore “a prima vista”. Anche se i nessi con l’arte tradizionale cinese appaiono evidenti, per entrare nel suo mondo non è necessaria alcuna conoscenza specifica.

Bai Ming

La scelta della ceramica come principale (ma non il solo) mezzo espressivo rappresenta il punto di partenza della ricerca del proprio segno, un cammino verso l’astrazione che però non può prescindere dagli elementi (la terra, il fuoco e l’acqua) né dalla manualità. L’artefatto è un risultato di un processo creativo nel quale la tecnica necessariamente occupa un ruolo imprescindibile. Per questo il ceramista necessariamente è anche un artigiano, deve possedere anche specifiche conoscenze tecniche (la cottura, la qualità delle argille e dei pigmenti), che poi metterà al servizio della propria espressione artistica. Ma a giudicare da questa mostra, ciò non costituisce affatto un limite, semmai, sembra suggerire Bai Ming, un’opportunità per esplorare un nuovo campo della creazione artistica, o meglio, per reinterpretare antiche tecniche, come quelle legate alla ceramica, in modo completamente originale.
La scelta della ceramica come principale mezzo di espressione per un artista contemporaneo non è cosa frequente né comune e già ciò costituisce un elemento di particolare interesse. Bai Ming è un artista essenzialmente materico, che dà forma al proprio mondo, ma, a differenza dei pittori della recente mostra di Rovereto “Global painting. La nuova pittura cinese”, non passa attraverso la figurazione. Le opere di Bai Ming non appaiono legate al frastuono del mondo contemporaneo. Al contrario, sembrano voler suggerire un percorso verso un segno essenziale prossimo al silenzio (nella direzione esattamente opposta rispetto ai pittori esposti a Rovereto, a testimoniare la pluralità di indirizzi nell’arte contemporanea cinese). Per questo spesso la critica ha sottolineato punti di contatto tra la ricerca artistica di Bai Ming e la filosofia zen. Al pari dei ceramisti della grande tradizione cinese, anche per Bai Ming la contemplazione della natura rappresenta la fonte principale di ispirazione. Lui stesso ha spesso ricordato nelle sue interviste il suo legame con il paesaggio della città natale, non lontana dalle rive del lago Poyang, il più grande specchio d’acqua dolce della Cina (che tra l’altro a causa della siccità oggi ha perso il 90% delle sue acque), celebre fin dall’antichità per i suoi paesaggi da fiaba (d’inverno vi vengono a svernare le gru siberiane).


Le oltre cento diverse tazze da té create dall’artista nel corso di trent’anni (nella mostra ne sono esposte 124) rappresentano anch’esse un omaggio alla tradizione della cerimonia del tè, a cui lo sfortunato imperatore-poeta della dinastia Song Hui Zong (1082-1135) aveva dedicato nel 1107 un celebre trattato. Da notare anche l’uso del tè come materiale per i pigmenti per gli inchiostri che fanno parte del ciclo intitolato Il nuovo libro dei monti e dei mari. Il titolo di questa serie si rifà a un antico trattato cinese che risale, secondo gli studiosi, almeno al secondo secolo avanti Cristo, basato su una visione della geografia in larga parte fantastica. Allo stesso modo Bai Ming, in questi inchiostri, crea dei paesaggi immaginari rappresentati da una prospettiva “a volo d’uccello” utilizzando lacche e inchiostri mescolati al tè. Il risultato è una sorprendente rappresentazione nella quale le pratiche dell’action painting si fondono con un’estetica e un gusto spiccatamente “orientali”.
Nel ciclo Perfezione con difetti, costituito da una serie di grandi ciotole dai bordi deformati, che contengono interventi dell’artista, Bai Ming, crea un mondo al confine tra scultura e pittura, tra serialità e unicità, tra simmetria e asimmetria, tra stabilità e fragilità, che sembra ricollegarsi ancora una volta al pensiero dei grandi maestri zen e al loro culto del paradosso come unico mezzo per cogliere il senso del mondo.
Nella serie Tra ceramica e pietra l’artista si ispira in modo evidente alle pietre taihu, un particolare tipo di rocce calcaree caratterizzate da un’elevata porosità. La loro particolare struttura, caratterizzata dalle numerose cavità e dall’alternanza di pieni e di vuoti, le ha rese celebri e molto utilizzate nelle decorazioni del “giardino cinese”, ispirato, nei suoi concetti fondamentali, ancora una volta ai principi del taoismo, al pari delle sculture in ceramica di questo ciclo.
Il dialogo tra modernità e tradizione rappresenta in definitiva il punto centrale dell’opera di questo artista che si sta guadagnando una crescente e meritata visibilità. Possiamo dire che grazie a Bai Ming la tradizione cinese comincia a entrare nel mondo dell’arte contemporanea. O, se volete, che l’arte contemporanea entra nel mondo della tradizione cinese. In ogni caso si tratta di un compenetrazione feconda e stimolante (che il sottotitolo della mostra “at the crossroad of Words” vuole sottolineare), che incuriosisce e affascina, un’occasione unica per conoscere meglio un mondo, come quello dell’arte cinese, in grado di proporre prospettive e visioni nuove e stimolanti. Ma ciò che offre questa mostra al visitatore, non è tanto, né solo, la conoscenza dell’opera di un’artista ancora poco noto, quanto un’esperienza estetica: le opere di questo artista sono in grado di ispirare un senso di pace e armonia utile, forse anche necessario, per ripensare al nostro rapporto con il mondo che ci circonda.

L’autore: Lorenzo Pompeo è slavista, traduttore e scrittore