Il Pasolini cinematografico incarna bene il Pasolini storico e William Defoe vi si immedesima perfettamente. Pasolini interpreta il dramma, il conflitto, di colui che è parte di quella forza che desidera eternamente il bene e produce eternamente il male.

Quando Abel Ferrara ha deciso di realizzare Pasolini non voleva fare l’ennesimo film inchiesta sulla morte del poeta avvenuta il 2 novembre 1975. Intendeva piuttosto meditare su quello che considera il suo Maestro.

Per quanto paradossale e a prima vista improponibile – la lontananza di intenti e di poetica, le diverse origini e i rispettivi mondi di appartenenza – i due autori hanno qualcosa che li accomuna. Ferrara è un “Accattone” cresciuto nel Bronx, nella post modernità apparentemente estranea al poeta di Casarsa. Tuttavia il Pasolini cinematografico predisposto dal regista incarna bene il Pasolini storico e William Defoe vi si immedesima perfettamente. Ciò è reso possibile dal fatto che Pasolini interpreta il dramma, il conflitto, come spesso è per i protagonisti dei film del cineasta americano, di colui che è parte di quella forza che desidera eternamente il bene e produce eternamente il male.

20141108_Cinema_PasoliniPer Ferrara Pasolini è un cattivo tenente, un angelo della vendetta. E’ colui che costantemente circondato dagli affetti dalla madre, i cugini, gli amici più cari, di notte sente l’impulso di immergersi nelle periferie per sporcare quel candore per poi mondarlo di nuovo con le luci dell’alba. E ancora: è il poeta maledetto scagliato contro il potere, che compiuta la sua parabola terrena trova finalmente la salvezza e il trionfo nella morte.

Per citare lo stesso Pasolini: «La morte di ciascuno riflette la propria vita». Sotto questa luce Pasolini offre in chiave moderna i segni di un martirio annunciato fin dalla tenera età con L’usignolo della Chiesa Cattolica (si legga La passione e Crocifissione oltre a rivedere il suo film più “autobiografico”, Il Vangelo secondo Matteo) e condotto attraverso una stupefacente Imitatio Christi fino in fondo, stazione dopo stazione, lungo la parabola dell’ultimo cielo, quello dell’idroscalo, il suo Golgota.

Ferrara e lo sceneggiatore Braucci concentrandosi sull’ultimo giorno di vita del poeta compongono con velature surreali il contrappunto visionario di quei fatti attingendo direttamente dal repertorio del Pasolini Ultimo Atto: Salò in cui lo sguardo dell’autore si identifica con quello del carnefice; Petrolio con la figura di Carlo Polis/Tetis che vampirizza i ragazzi e fa sesso con tutti, madre, nonna, sorella, figlia; Porno-Teo-Kolossal, sceneggiatura del film mai realizzato che si sviluppa attraverso un viaggio fantastico e allucinato, compiuto dalla coppia servo-padrone intenta a seguire una Cometa (l’Ideologia) che si dirige verso il luogo dove è nato il Messia interpretato nel film di Ferrara da Davoli e Scamarcio.

Ferrara aggiunge così un pezzo all’iconografia pasoliniana. La sua Passione, che ha il merito di non attardarsi in dietrologie e complottismi, più che la testimonianza di un apostolo sembra l’effigie di una rappresentazione medievale e paesana con tanto di diavoli e una sodoma romana in cui i gay stanno con i gay, le lesbiche con le lesbiche e una volta all’anno si accoppiano per la riproduzione. Chi dice “l’arte è morta” ha in serbo di ucciderla lui.