L’economia è politica. L’economia è il campo delle scelte orientate da valori e interessi diversi, alternativi. Le “raccomandazioni” di Bruxelles, Washington, Parigi non sono mai neutre o necessitate. Non sono mai posizioni tecniche. Dietro le tecnostrutture, apparentemente super partes, vi sono sempre visioni del mondo e soggetti economici e sociali beneficiati o colpiti. Insomma, destra e sinistra continuano a esistere sul terreno dell’economia, nonostante la possente offensiva liberista, da almeno tre decenni, proponga e imponga sul versante mediatico e accademico il pensiero unico slegato dall’etica e dalle differenze di classe.
Ecco il messaggio fondamentale che ogni autunno, dal 2001, Sbilanciamoci, una rete di 48 associazioni progressiste, lancia attraverso il suo rapporto su “Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace e l’ambiente”. Almeno dall’ultimo scorcio di Prima Repubblica fino a oggi, i principali contenuti della Legge Finanziaria, poi ribattezzata Legge di Stabilità, vengono presentati sempre come più o meno inevitabili. Dati gli obiettivi da raggiungere, in realtà vincoli da rispettare, non si può fare altro. Il ritornello fa così: le sinistre movimentiste e massimaliste, inconsapevoli della suscettibilità dei “mercati” e senza cultura di governo, possono ancora perdere tempo su proposte di segno radicalmente diverso. Ma alternative, per una “sinistra di governo”, non ci sono. Ai più ambiziosi e culturalmente recalcitranti, si può concedere qualche correzione al margine, ad esempio la sperimentazione con una manciata di milioni del reddito di inserimento o un’ misero fondo per la ristrutturazione delle scuole.
Invece, ogni anno, Sbilanciamoci scrive con rigore tecnico che le alternative ci sono e che i contenuti definiti “inevitabili” sono, in realtà, scelte politiche. In una sfida intelligente al perbenismo governista, assume, senza condividerne il paradigma liberista ispiratore, gli obiettivi assurdi del Patto di Stabilità e Crescita. Anche per la Legge di Stabilità del 2015, Sbilanciamoci indica alternative possibili. Sul piano macroeconomico, come ogni anno, si muove nel quadro del Documento di Economia e Finanza, nonostante ne denunci il segno restrittivo e regressivo, quindi l’effetto recessivo su un’economia anemica. Ma parte da una valutazione radicalmente alternativa della spesa pubblica e delle tasse.