Si può tradire qualcuno in tanti modi. Ad esempio il figlio di una persona povera e semi-analfabeta in un certo senso “tradisce” il padre quando si immerge nella lettura, studia, diviene colto, si stacca dalla propria classe sociale (e non importa che così facendo corona una aspirazione frustrata del padre stesso). Giordano di Andrea Caterini (Fazi) è incardinato su questo “tradimento”, anche se apparentemente ce ne racconta un altro.
Il guardiano notturno Giordano trascorre il propri tempo nel gabbiotto di un garage con i suoi cruciverba e un mazzo di fotografie. Ha scoperto la tresca tra la moglie Marilù e il suo migliore amico, anche lui fabbro ma con la passione della letteratura, Sandro (che rimprovera un critico letterario obiettandogli che i suoi libri sono comodi come la sua vita, «consolatori e consolanti»). Sempre Sandro diventa un interlocutore costante del figlio di Giordano, Diego, che studia filosofia, e che è poi l’io narrante del libro. Un romanzo concentrato, duro, riflessivo, che concede pochissimo alla fiction, ad una narratività distesa e rotonda.
Leggendolo mi chiedevo se non funzionasse meglio come testo teatrale, come una specie di monologo recitato in seconda persona. Il suo merito principale è di opporsi alla deriva nichilista e disperante del nostro tempo. Giordano, alla fine si salva perché capisce che per lui e la moglie l’unico vero tradimento è quello fatto ai danni del loro «sogno primigenio», dell’amore palpitante, eterno, che li unisce. E si salva proprio perché si è spogliato di tutto, e solo in una condizione di totale indigenza può schiudersi una luce di redenzione. Quanto a Diego, potrebbe anche lui riafferrare la dimensione della vita vivente solo se attraversa per intero la propria cultura libresca fino a ritrovare a relazione con gli altri (e con suo padre).
Nel libro si parla di santi che si risvegliano dopo essere stati sepolti vivi, e poi di acqua battesimale e resurrezione dei morti. George Orwell diceva che i santi sono colpevoli, fino a prova contraria. Ancora di più chi parla di santi. Di Andrea Caterini apprezzo il coraggio e la radicalità nel volersi misurare con temi così alti, ma forse oggi solo la lingua della poesia può davvero accostarsi a una “verticalità”.