Contratti di solidarietà e part time verticali. Alla Piaggio di Pontedera si lavora sette mesi su dodici. Lo stipendio è di 1.200 euro al mese. Una maggioranza “visibile” direbbe Emanuele Ferragina (autore di un bel libro dal titolo La maggioranza invisibile), quella dei 250 operai dello stabilimento, fermi da novembre e pronti a riprendere il lavoro a fine gennaio.
Loro un contratto a tempo indeterminato ce l’hanno e, nei mesi in cui sono in fabbrica, hanno pure uno stipendio. Quindi, di questi tempi che vogliono di più? Di che si lamentano ancora? Invece si lamentano e vogliono di più. Protestano e, se necessario, scioperano per avere migliori condizioni di vita. Questa settimana vi raccontiamo la loro storia. Fastidiosi pezzi da cambiare nell’era Renzi, sono lì a dirci che esistono e, pensate, vogliono qualcosa di più. E di migliore. Anche se nessuno li ascolta, anche se il mondo cambia nel verso sbagliato, o almeno non cambia più la loro vita. Se non in peggio. E che non si abituano. Non si abitueranno mai. E che si lamentano. E lo faranno sempre di più.
Perché se non si lamentano vuol dire che hanno paura. Paura di ricevere una lettera come quella che si sono visti recapitare gli operai di Pontedera, nella quale gli si dice che se si assentano diventano «un oggettivo impedimento alla possibilità di un utile impiego della sua prestazione lavorativa» e sono fuori.
Come se la vita fosse un reality della tv dove il capo a un certo punto emette la condanna: «Per te quest’avventura finisce qui». Questo è il vento portato dal Jobs act, dove tutto è possibile, tutto è concesso. Non son più tempi per “il pane e le rose” dicono. Basta il pane. Non si lotta per avere qualche ora liberi di leggere, Omero magari, o di baciare la propria donna, o di portare al mare i propri figli. Semmai si lotta per il pane, insistono. Persino per la salute. Perché non è detto che ci sia e non è detto che ti spetti. Né il pane né la salute.
Si torna al Medioevo? Sì, forse sì. In un certo qual modo, quello peggiore: privilegi per pochi, diritti sempre meno, forme di protezione individuale. Condizioni di lavoro insindacabili. Il mantra della crisi investe tutto: le aziende vanno aiutate, gli imprenditori convinti. I costi del lavoro compressi. E allora? Allora si lavora a vecchie catene di montaggio che ti spaccano braccia e gambe per ore e ore, e si lavora anche il sabato. Perché lavorare è un privilegio. Si accettano contratti di solidarietà e si spera che l’imprenditore aumenti un po’ il profitto, così non scappa. E non tocca a te.
Salvo poi sentirti dire una cosa che già sai, che «il problema in Italia non è aumentare i profitti delle aziende, ma aumentare i salari dei lavoratori», e che nonostante tutti i sacrifici che potrai fare «dal Jobs act non c’è da aspettarsi un aumento degli investimenti e dei posti di lavoro» a meno che tutto ciò non sia «accompagnato da un vero piano di investimenti pubblici». Peccato che «su questo nel governo c’è silenzio. Non c’è nessuna missione e nessuna visione». Così diceva l’economista Marianna Mazzucato solo qualche sera fa a Presadiretta di fronte alle immagini dell’Ast di Terni.
Il problema allora devono essere “le rose”. La visione e la missione. Le rose danno il pane. Il pane e le rose danno la libertà. La libertà del proprio tempo lavoro e del proprio tempo libero come ci spiegavano bravi economisti alla festa di Left qualche tempo fa.
Fantaecomonia o fantavita per poveri e pochi illusi di sinistra? No. Lo scoprirete nella rubrica di arte questa settimana. Vi racconteranno di Isabella Seragnoli, un’imprenditrice che produce macchine automatiche e che ha realizzato il sogno “olivettiano” di creare una fabbrica bella e moderna, che funziona. Centro di aggregazione e di ricerca ma anche avamposto sociale e civile nel tessuto urbano in cui è inserita. In Italia pensate. A Bologna.
PS. A chi, per sue credenze personali, ha pontificato in questi giorni che Left non può essere, per sua natura, un punto di riferimento per la sinistra, rispondo citando ancora Emanuele Ferragina quando nel suo libro scrive: «Al di là di simili ostacoli, ad animare i lunghi mesi di lavoro [i miei sono anni…] è stata la stessa speranza che continua a spingere chiunque insista a stare al fianco dei più deboli, “in direzione ostinata e contraria” rispetto all’ideologia dominante. La speranza di essere abbastanza credibili da entrare in contatto con l’altro sulla base di un proposito onesto: narrare la realtà con occhi nuovi, mettendoci il meglio di noi stessi».
In modo ostinato e contrario all’ideologia dominante, sulla base di un proposito onesto, cercheremo di narrare la realtà con occhi nuovi. Questo sarà Left. Ringrazio sin da ora tutti quelli che ci accompagneranno nella ricerca.
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