Tempi bui per il cinema italiano. La stagione ha visto un’ulteriore crisi: solo i comici Siani e Aldo, Giovanni e Giacomo sono tra i primi 10 negli incassi dall’agosto 2014. Gran parte delle uscite è insidiata dalla pur valida concorrenza straniera, stroncata da blockbusters di grande lancio pubblicitario mai protetta da un impegno responsabile degli esercenti. Il giovane favoloso di Martone è stato guardato come un piccolo miracolo perché, pur essendo un film complesso di taglio autoriale, ha superato i 5 milioni di euro.
Gli altri titoli sono stati polverizzati dai fatidici primi 4 giorni di programmazione. Spietatezze del libero mercato e/o debolezza drammaturgica e/o incompiutezza estetica e/o incapacità di intercettare il nostro tempo, vanno male Taviani, Archibugi, Costanzo e i corrosivi Biggio e Mandelli de I soliti idioti. Dispiace che scompaiano lavori aggraziati, come il documentario Piccoli così, di Marotta, sulla vulnerabilità e la resistenza dei nati prematuri.
Dispiace che si perdano nell’indifferenza opere interessanti come Vergine giurata di Bispuri, film sull’identità di genere, dal romanzo di E. Dones, ben interpretato da Alba Rohrwacher o Torneranno i prati del maestro Olmi, sulla sconvolta umanità dei soldati in guerra o, infine, Cloro di Sanfelice: è la storia di Jenny, che ha il volto bello e indurito dell’emergente di talento, Sara Serraiocco, che sogna di diventare campionessa di nuoto sincronizzato, ma è confinata tra le montagne, a causa della situazione familiare.
Senza madre e con un padre depresso, deve badare al fratellino e trovarsi un lavoro, rinunciando agli allenamenti. Al di là della storia e di alcune lentezze, colpisce lo stile visivo, così tenacemente concentrato sulla protagonista, sul suo corpo, ora nervoso e contratto, ora sciolto e sinuoso, sulla compressione fisica delle emozioni rispetto a una vita agra che non le risparmia nulla e insinua il freddo nelle ossa. La fluida mobilità dell’acqua, in cui la concretezza dei volumi scivola via con sospesa leggerezza, sfida la ruvidità della montagna e il suo biancore silente. Le grida divertite degli adolescenti sullo slittino sono un’irruzione di gioia nella compattezza dolente.
Finale aperto, in cui tutto è possibile, anche un filo di speranza, forse anche per il nostro cinema.