Il Primo maggio di Milano è passato alle cronache per una scia di danni, esplosi a ondate nel cuore della città, fra corso Magenta e via Monte Rosa. A sfilare sono stati però, in grandissima parte, donne e uomini abituati a misurarsi con il precariato e impegnati a costruire percorsi politici e sociali alternativi.

«Era bellissimo: musica, allegria, gente che ballava… veniva voglia di scendere in strada». Vincenzo sta sulla porta del palazzo con altri inquilini. «Poi, nel giro di qualche minuto, un gruppo si è coperto il volto. Quanti erano? Forse solo una cinquantina. Hanno spaccato tutto». Auto bruciate, vetrine in pezzi, muri imbrattati.

Il Primo maggio di Milano è passato alle cronache per una scia di danni, esplosi a ondate nel cuore della città, fra corso Magenta e via Monte Rosa. A sfilare sono stati però, in grandissima parte, donne e uomini abituati a misurarsi con il precariato e impegnati a costruire percorsi politici e sociali alternativi.

Cinzia, del presidio dei braccianti della Bassa Valle Scrivia, nel vicino Piemonte spiega di essere venuta «con mio figlio, di 14 anni abbiamo sostenuto le rivendicazioni dei braccianti marocchini sfruttati dai caporali in Piemonte, una sorta di Rosarno del nord. Ci hanno insegnato che essere uniti è fondamentale». Vicino sfilano i lavoratori dei sindacati di base, impiegati nella logistica, nei trasporti. Intere famiglie di ivoriani, senegalesi, nigeriani accanto a uomini nord africani dai volti severi. «Siamo venuti – dice un uomo – per ricordare che senza di noi l’Italia sarebbe più povera. Siamo scappati dalla fame, ma Expo è pagata da chi ci ha affamato».

La solidarietà ha lasciato il posto alla paura anche per molti manifestanti, rimasti bloccati nelle retrovie del corteo. «Sono entrata in un bar, per sfuggire al fumo dei lacrimogeni – racconta Eva, giovanissima, con la voce spezzata – ma ne hanno tirati anche dentro il locale. Un anziano si è sentito male, l’ho dovuto trascinare fuori». Come è comparsa, la violenza dei pochi si è dileguata, lasciando per terra bastoni, caschi, maschere antigas, guanti. Oggetti del delitto senza più padroni, confusi tra la folla o svicolati oltre la parata. E’ rimasto anche lo sgomento di alcuni, il “si sapeva già” di altri, la rabbia di chi voleva manifestare, orgogliosamente, in un Primo maggio diverso da altri, rafforzato dall’opposizione all’Expo, inaugurato a pochi chilometri di distanza.