Michele Serra scrive sulla sua Amaca del 16 ottobre che alla casalinga di Voghera e al barista di Trani non interessa la Riforma costituzionale e che chiedere loro «di pronunciarsi sul bicameralismo imperfetto è puro sadismo». Meglio lasciare la cosa agli esperti, dice l’opinionista di Repubblica. La replica è immediata e arriva nello stesso giorno dalla festa della Costituzione a Roma. «In democrazia accade che qualcuno non sia consapevole e forse la signora e il barista non sanno che questa riforma li riguarda direttamente, ma se è così, allora bisogna fare tutto il possibile per spiegarglielo. Altrimenti che facciamo? Torniamo a 150 anni fa, al voto per censo? Oppure tagliamo le teste o il diritto di voto? Se quello che dice Serra dovesse essere adottato come progetto di riforma costituzionale addirittura torneremo a poco prima della Rivoluzione francese. È una bella forma di modernità, dovremo consigliarla a Renzi che così almeno si fa una cultura storica!». Il costituzionalista Massimo Villone sul palco, piegato sulla sedia sorride amaro rivolgendosi al pubblico accorso alla Città dell’Altraeconomia.
È l’ultimo giorno della festa della Costituzione promossa dal Comitato romano per il No al referendum, sul palco insieme a Villone c’è anche l’ex sindaco Ignazio Marino per il secondo incontro coordinato da Left. A entrambi, Ilaria Bonaccorsi rivolge domande molto puntuali, ma soprattutto riporta il cuore del problema – davvero la casalinga di Voghera e il barista di Trani non sono interessati o addirittura non sarebbero in grado di comprendere la riforma Renzi Boschi, come scrive Serra? – oppure tutti i cittadini possono comprendere cosa c’è scritto nella nuova Costituzione. Ma non solo. Il direttore di Left aggiunge un terzo personaggio, un altro simbolo di questa Italia, alle prese con una campagna referendaria che divide il Paese tra guelfi e ghibellini senza entrare nel merito della revisione costituzionale. «Un amico ingegnere – racconta – mi chiedeva “ma se il Senato ormai non conta più nulla, non dà più la fiducia, perché indignarsi così tanto se non votiamo più per eleggere i senatori”?». Così, la casalinga, il barista e anche l’ingegnere, diventano i tre personaggi non tanto in cerca d’autore ma di risposte sul presente. E il professore emerito di Diritto costituzionale spiega con calma, si lascia andare anche all’ironia, come quando immagina scenari post vittoria del Sì: «Se avete corna, cornetti, toccate ferro, toccate legno!». Ma poi spiega rigoroso: «Bisogna dire alla casalinga e al barista che questa riforma mette a rischio la democrazia, perché riduce gli spazi di partecipazione e indebolisce il Parlamento, visto che il diritto di voto è solo per una Camera. E un Parlamento non rappresentativo, e cioè che non ti rappresenta, non può fare le politiche che interessano i nostri due protagonisti: far pagare le tasse a chi ha di più, impiegare più risorse nei servizi pubblici fondamentali come la salute, l’istruzione, i trasporti e magari non in opere mastodontiche e inutili, e non mettere invece il bavaglio alle autonomie locali, come è accaduto per le trivelle».
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