Chi decide chi sta davanti e chi resta indietro nell’Europa a due velocità? La risposta purtroppo la conosciamo già, ed è questo che ci preoccupa. A decidere per noi saranno loro, gli stessi che hanno stabilito le condizioni alle quali si è accettato che l’Italia entrasse nella moneta unica e gli stessi che hanno applicato in lungo e in largo le ricette ultraliberiste “perché ce lo chiede l’Europa”. Così, c’è da scommettere che con la doppia velocità a restare indietro non sarà soltanto questo o quel Paese - peraltro non è detto che l’Italia non finisca nella bad company - ma anche e soprattutto quelli che finora sono sempre stati lasciati indietro, anzi fuori dai vantaggi di una “integrazione” che annunciava benessere per tutti ma poi ha finito per accentuare le disuguaglianze, fino a farsi “disintegrazione”. A noi le due velocità piacciono quando tendono ad avvicinarsi, quando chi sta davanti non opta per la volata ma volge lo sguardo all’indietro e tende la mano. Finora, nel Vecchio continente, chi si è voltato indietro lo ha fatto per assestare un calcio e cacciare ancora più in fondo chi arrancava (ricordate la Grecia?). Il timore è che chi sta in testa continui a decidere il meglio per sé e non il meglio per tutti: lo racconta bene Roberta Carlini nel nostro Primo piano a proposito della Germania, che da un lato continua a chiedere rigore e riforme agli altri Paesi e dall’altro ignora del tutto la richiesta della Commissione europea di ridurre il suo avanzo commerciale eccessivo, cioè il valore troppo elevato del suo export. Come facciamo allora a ottenere che a decidere per noi non siano sempre i soliti? È tutt’altro che semplice ovviamente, ma possiamo iniziare tentando di chiarire su quale terreno vogliamo giocare la partita: quella del neoliberismo e della competitività o quello di un nuovo socialismo e della cooperazione? Quello che preferiamo noi proviamo a raccontarvelo con questa copertina, invitandovi a prendere atto che, nella politica italiana e non solo, gli ibridi non hanno funzionato e hanno finito per dar vita a soggetti mossi soltanto da spinte utilitaristiche, ostaggi delle ricette rigoriste, lontani anni luce dalla sovranità popolare e sicuramente non di sinistra. L’Europa, come continente e come insieme dei suoi Paesi, si è arroccata nella tutela degli interessi di pochi, si è concentrata sull’economia dimenticandosi della politica. Allora è da lì che vogliamo e dobbiamo partire, dal modo di fare politica, dall’identificare insieme ad altri la nostra visione di futuro a partire dal “terreno di gioco” di una sinistra capace di giocare la sua partita con “coraggio, altruismo e fantasia”. [su_divider text="In edicola" style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale è tratto da Left in edicola

 

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Chi decide chi sta davanti e chi resta indietro nell’Europa a due velocità? La risposta purtroppo la conosciamo già, ed è questo che ci preoccupa. A decidere per noi saranno loro, gli stessi che hanno stabilito le condizioni alle quali si è accettato che l’Italia entrasse nella moneta unica e gli stessi che hanno applicato in lungo e in largo le ricette ultraliberiste “perché ce lo chiede l’Europa”. Così, c’è da scommettere che con la doppia velocità a restare indietro non sarà soltanto questo o quel Paese – peraltro non è detto che l’Italia non finisca nella bad company – ma anche e soprattutto quelli che finora sono sempre stati lasciati indietro, anzi fuori dai vantaggi di una “integrazione” che annunciava benessere per tutti ma poi ha finito per accentuare le disuguaglianze, fino a farsi “disintegrazione”.

A noi le due velocità piacciono quando tendono ad avvicinarsi, quando chi sta davanti non opta per la volata ma volge lo sguardo all’indietro e tende la mano. Finora, nel Vecchio continente, chi si è voltato indietro lo ha fatto per assestare un calcio e cacciare ancora più in fondo chi arrancava (ricordate la Grecia?). Il timore è che chi sta in testa continui a decidere il meglio per sé e non il meglio per tutti: lo racconta bene Roberta Carlini nel nostro Primo piano a proposito della Germania, che da un lato continua a chiedere rigore e riforme agli altri Paesi e dall’altro ignora del tutto la richiesta della Commissione europea di ridurre il suo avanzo commerciale eccessivo, cioè il valore troppo elevato del suo export.
Come facciamo allora a ottenere che a decidere per noi non siano sempre i soliti? È tutt’altro che semplice ovviamente, ma possiamo iniziare tentando di chiarire su quale terreno vogliamo giocare la partita: quella del neoliberismo e della competitività o quello di un nuovo socialismo e della cooperazione? Quello che preferiamo noi proviamo a raccontarvelo con questa copertina, invitandovi a prendere atto che, nella politica italiana e non solo, gli ibridi non hanno funzionato e hanno finito per dar vita a soggetti mossi soltanto da spinte utilitaristiche, ostaggi delle ricette rigoriste, lontani anni luce dalla sovranità popolare e sicuramente non di sinistra.

L’Europa, come continente e come insieme dei suoi Paesi, si è arroccata nella tutela degli interessi di pochi, si è concentrata sull’economia dimenticandosi della politica. Allora è da lì che vogliamo e dobbiamo partire, dal modo di fare politica, dall’identificare insieme ad altri la nostra visione di futuro a partire dal “terreno di gioco” di una sinistra capace di giocare la sua partita con “coraggio, altruismo e fantasia”.

L’editoriale è tratto da Left in edicola

 

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Sono giornalista da oltre vent'anni ma sempre “aspirante”. Dal 2015 a Left, dopo Nuova Ecologia e tanto altro. Di cosa mi occupo? Diciamo che mi piace cercare il futuro possibile nei meandri del presente. Per farlo c'è molto da scavare, spesso indossando la mascherina.