A che serve Left? Ci sono momenti in cui me lo chiedo. Dopo undici anni di intenso e a tratti disperato lavoro, in questi giorni di marzo (che non scivolano via) la domanda si ripropone e si propone. Fake politics abbiamo scritto, per raccontarvi del livello raggiunto da una politica falsa, che racconta il falso. Anzi che si “edifica” sul falso. Neanche più sull’interpretazione della realtà, lontana - come più volte abbiamo scritto - dalla verità delle cose umane. Sul falso. Battaglia persa allora? A che serve ancora Left? «Occorre indubbiamente onestà», lo abbiamo scritto l’ultima volta nel 2015. Serve a questo Left? A dispensare pillole di onestà culturale e anche politica? Forse la risposta è buona. Ma è sufficiente? Ci aspettano mesi difficili, sballottati tra insopportabili primarie Pd e sinistre frantumate in mille rivoli che rischiano di essere invisibili. Noi dobbiamo continuare a elaborare idee e onestà? Dobbiamo cercare di trasmettere ancora, pensavo, quell’anelito di ricerca di una propria onestà, intesa come coerenza irrinunciabile? Serve a questo Left? Serve a mostrare che non è e non deve essere come ce la raccontano i più? Perché in mezzo ai Putin, ai Trump, ai Salvini e alle Le Pen, a tutti gli urlanti del mondo, i nostri fake politics, ci sono i Sanders e gli Hamon. Però perdono, ci diranno. Per ora. Ma sono una minoranza, insisteranno. Forse, perché in verità ce ne sono un sacco, siamo un sacco. Una marea di donne in questi giorni ha manifestato e una marea di uomini in questi stessi giorni ha lavorato anche per loro. E una marea di giovani ancora una volta «ha deciso di non essere più spettatore», come ha dichiarato Benoît Hamon a Riccardo Iacona, e lo ha votato in massa benché parlasse di «sinistra». Allora forse è bene raccontare ancora che in mezzo alle balle di Renzi, Salvini e Grillo, dal Jobs act alle invasioni, ci sono un sacco di verità belle. Per esempio c’è chi immagina un ministero del Tempo libero per «liberare le persone dal tempo di lavoro», per darne ad altri e per liberare la persona. «Perché occorre liberare del tempo per noi e perché vedrete che la società del tempo libero creerà posti di lavoro, perché non c’è crescita economica senza cultura». Parole? Belle parole che hanno dietro idee. Per esempio che il tempo libero è cultura, che la persona si realizza nel tempo lavoro e in quello per sé, che è possibile una transizione ecologica invece di inseguire solo logiche contabili, e che questo lo possa fare solo la sinistra (sempre Hamon, scusatemi!). Perché, come diceva Mitterand scherzando, «i centristi non sono né di sinistra né di sinistra». [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

 

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A che serve Left? Ci sono momenti in cui me lo chiedo. Dopo undici anni di intenso e a tratti disperato lavoro, in questi giorni di marzo (che non scivolano via) la domanda si ripropone e si propone. Fake politics abbiamo scritto, per raccontarvi del livello raggiunto da una politica falsa, che racconta il falso. Anzi che si “edifica” sul falso. Neanche più sull’interpretazione della realtà, lontana – come più volte abbiamo scritto – dalla verità delle cose umane. Sul falso. Battaglia persa allora?

A che serve ancora Left? «Occorre indubbiamente onestà», lo abbiamo scritto l’ultima volta nel 2015. Serve a questo Left? A dispensare pillole di onestà culturale e anche politica? Forse la risposta è buona.

Ma è sufficiente? Ci aspettano mesi difficili, sballottati tra insopportabili primarie Pd e sinistre frantumate in mille rivoli che rischiano di essere invisibili. Noi dobbiamo continuare a elaborare idee e onestà? Dobbiamo cercare di trasmettere ancora, pensavo, quell’anelito di ricerca di una propria onestà, intesa come coerenza irrinunciabile? Serve a questo Left?

Serve a mostrare che non è e non deve essere come ce la raccontano i più? Perché in mezzo ai Putin, ai Trump, ai Salvini e alle Le Pen, a tutti gli urlanti del mondo, i nostri fake politics, ci sono i Sanders e gli Hamon. Però perdono, ci diranno. Per ora. Ma sono una minoranza, insisteranno. Forse, perché in verità ce ne sono un sacco, siamo un sacco. Una marea di donne in questi giorni ha manifestato e una marea di uomini in questi stessi giorni ha lavorato anche per loro. E una marea di giovani ancora una volta «ha deciso di non essere più spettatore», come ha dichiarato Benoît Hamon a Riccardo Iacona, e lo ha votato in massa benché parlasse di «sinistra».

Allora forse è bene raccontare ancora che in mezzo alle balle di Renzi, Salvini e Grillo, dal Jobs act alle invasioni, ci sono un sacco di verità belle. Per esempio c’è chi immagina un ministero del Tempo libero per «liberare le persone dal tempo di lavoro», per darne ad altri e per liberare la persona. «Perché occorre liberare del tempo per noi e perché vedrete che la società del tempo libero creerà posti di lavoro, perché non c’è crescita economica senza cultura». Parole? Belle parole che hanno dietro idee. Per esempio che il tempo libero è cultura, che la persona si realizza nel tempo lavoro e in quello per sé, che è possibile una transizione ecologica invece di inseguire solo logiche contabili, e che questo lo possa fare solo la sinistra (sempre Hamon, scusatemi!). Perché, come diceva Mitterand scherzando, «i centristi non sono né di sinistra né di sinistra».

L’editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

 

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