Il mondo moderno, le nuove tecnologie, la comunicazione ultra-rapida e pervasiva ha contribuito a rendere piccolo il mondo. Si dice che le nuove tecnologie abbiano smontato la politica tradizionale, che l’abbiano resa virtuale. Quelli che le sanno usare, insomma, avrebbero già vinto. In realtà credo che non sia del tutto vero. La tecnologia delle comunicazioni ha solo agevolato e accelerato un processo che ha le sue radici nella perdita di senso dei grandi sistemi ideologici che spiegavano il mondo e soprattutto spiegavano il senso per l’essere umano dell’essere nel mondo. Anche se, apparentemente, le uniche grandi architetture ideologiche sopravvissute sono le religioni monoteiste. Cristianesimo, islamismo ed ebraismo. Hanno ancora senso? Perdita di senso... sarebbe meglio dire senso che non è mai stato verità completa. Erano verità parziali: La verità umana non è solo l’uguaglianza. La verità umana non è solo la libertà. La verità umana non è solo la realtà materiale e il rapporto con essa. La verità umana non è il rapporto con il non essere, con la divinità. In verità le religioni monoteiste sono in grande difficoltà se papa Bergoglio sostiene che sia necessario che i monoteismi si alleino per combattere la “perdita” di Dio che si sta diffondendo nel mondo. Il mondo sta cambiando e le nuove tecnologie accelerano un processo di cambiamento che si porta avanti da... decenni? O millenni? La liberazione degli esseri umani dall’alienazione religiosa, l’aprire gli occhi, l’avere un rapporto con la realtà degli altri esseri umani sempre più esatto perché sempre meno soggetto alla pulsione di annullamento. Ma come? Se il mondo è pieno di guerre e di fascismi e di disastri assortiti? È certamente vero. Ma è altrettanto vero che c’è una vita quotidiana di miliardi di persone in cui, spontaneamente, c’è una ricerca della propria e altrui realizzazione perché esiste una naturale e spontanea sanità, che se non oppressa e uccisa sul nascere nei primi mesi di vita, può realizzarsi facendo sì che gli uomini e le donne siano meno violenti con gli altri e con se stessi, rispetto a quanto lo sono state le generazioni precedenti. Giovedì scorso ho avuto la fortuna di vedere lo spettacolo di Elda Alvigini, Liberi tutti. Al di là della bravura degli attori e della felice messa in scena, cui contribuisce una magnifica opera dell’artista Alessio Ancillai, la cosa che più mi ha colpito è la straordinaria sceneggiatura, scritta dall’attrice e regista con Natascia Di Vito. L’accostare i piccoli ed inesistenti drammi quotidiani di giovani o meno giovani alle prese con amori fugaci più o meno importanti alle vere tragedie, dei migranti che abbandonano tutto per cercare una nuova vita e che troppo spesso incontrano la morte nel mare. Lo spettacolo di Elda Alvigini raggiunge il suo apice con un doppio monologo sulla separazione dal padre comunista: padre che dà la speranza della rivolta... rivolta che però è inesistente, che delude. Fallimentare perché senza identità. L’ultima scena, la più struggente. Una separazione di due bambini, analoga a quella finita male che viene rappresentata all’inizio dello spettacolo, ma che questa volta riesce. Un bambino lascia la sua cosa più preziosa ad una bambina. Non si vedranno mai più. Ma questo non vuol dire che la separazione non si possa fare bene. È certamente vero che non può esistere una separazione felice. Ma può e deve esistere una separazione che sia realizzazione personale. Per essere diversi, per essere più belli, per essere più intelligenti. Come un bambino che diventa grande. Ieri Melania, mia figlia, mi ha chiesto di comprarle delle ciliegie. Mi ha detto “Papà mi compri le ciliegie? Come quella volta che le ho mangiate sul terrazzo da Massimo”. Il giorno dopo aveva un viso particolarmente bello, più del solito. E mi ha detto “Io lo amo Massimo. Anche se adesso non c’è più, lui ci sarà ancora nel suo giornale”. Le ho chiesto qual è il suo giornale. Mi ha detto subito, senza esitazione: “Left! Left è il suo giornale.”. Hai ragione bambina mia. [su_divider text="In edicola " style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]

L'editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

 

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Il mondo moderno, le nuove tecnologie, la comunicazione ultra-rapida e pervasiva ha contribuito a rendere piccolo il mondo. Si dice che le nuove tecnologie abbiano smontato la politica tradizionale, che l’abbiano resa virtuale. Quelli che le sanno usare, insomma, avrebbero già vinto. In realtà credo che non sia del tutto vero. La tecnologia delle comunicazioni ha solo agevolato e accelerato un processo che ha le sue radici nella perdita di senso dei grandi sistemi ideologici che spiegavano il mondo e soprattutto spiegavano il senso per l’essere umano dell’essere nel mondo. Anche se, apparentemente, le uniche grandi architetture ideologiche sopravvissute sono le religioni monoteiste. Cristianesimo, islamismo ed ebraismo. Hanno ancora senso?

Perdita di senso… sarebbe meglio dire senso che non è mai stato verità completa. Erano verità parziali: La verità umana non è solo l’uguaglianza. La verità umana non è solo la libertà. La verità umana non è solo la realtà materiale e il rapporto con essa. La verità umana non è il rapporto con il non essere, con la divinità. In verità le religioni monoteiste sono in grande difficoltà se papa Bergoglio sostiene che sia necessario che i monoteismi si alleino per combattere la “perdita” di Dio che si sta diffondendo nel mondo. Il mondo sta cambiando e le nuove tecnologie accelerano un processo di cambiamento che si porta avanti da… decenni? O millenni?
La liberazione degli esseri umani dall’alienazione religiosa, l’aprire gli occhi, l’avere un rapporto con la realtà degli altri esseri umani sempre più esatto perché sempre meno soggetto alla pulsione di annullamento.

Ma come? Se il mondo è pieno di guerre e di fascismi e di disastri assortiti? È certamente vero. Ma è altrettanto vero che c’è una vita quotidiana di miliardi di persone in cui, spontaneamente, c’è una ricerca della propria e altrui realizzazione perché esiste una naturale e spontanea sanità, che se non oppressa e uccisa sul nascere nei primi mesi di vita, può realizzarsi facendo sì che gli uomini e le donne siano meno violenti con gli altri e con se stessi, rispetto a quanto lo sono state le generazioni precedenti.
Giovedì scorso ho avuto la fortuna di vedere lo spettacolo di Elda Alvigini, Liberi tutti. Al di là della bravura degli attori e della felice messa in scena, cui contribuisce una magnifica opera dell’artista Alessio Ancillai, la cosa che più mi ha colpito è la straordinaria sceneggiatura, scritta dall’attrice e regista con Natascia Di Vito. L’accostare i piccoli ed inesistenti drammi quotidiani di giovani o meno giovani alle prese con amori fugaci più o meno importanti alle vere tragedie, dei migranti che abbandonano tutto per cercare una nuova vita e che troppo spesso incontrano la morte nel mare.
Lo spettacolo di Elda Alvigini raggiunge il suo apice con un doppio monologo sulla separazione dal padre comunista: padre che dà la speranza della rivolta… rivolta che però è inesistente, che delude. Fallimentare perché senza identità. L’ultima scena, la più struggente. Una separazione di due bambini, analoga a quella finita male che viene rappresentata all’inizio dello spettacolo, ma che questa volta riesce. Un bambino lascia la sua cosa più preziosa ad una bambina. Non si vedranno mai più. Ma questo non vuol dire che la separazione non si possa fare bene. È certamente vero che non può esistere una separazione felice. Ma può e deve esistere una separazione che sia realizzazione personale. Per essere diversi, per essere più belli, per essere più intelligenti. Come un bambino che diventa grande.

Ieri Melania, mia figlia, mi ha chiesto di comprarle delle ciliegie. Mi ha detto “Papà mi compri le ciliegie? Come quella volta che le ho mangiate sul terrazzo da Massimo”. Il giorno dopo aveva un viso particolarmente bello, più del solito. E mi ha detto “Io lo amo Massimo. Anche se adesso non c’è più, lui ci sarà ancora nel suo giornale”. Le ho chiesto qual è il suo giornale. Mi ha detto subito, senza esitazione: “Left! Left è il suo giornale.”. Hai ragione bambina mia.

L’editoriale è tratto dal numero di Left in edicola

 

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