Ogni blocco di pietra viene estratto e trasformato in polvere a mano, con il solo ausilio di alcuni piccoli attrezzi e un po’ di plastica per aprire le prime fratture nel cratere. Siamo nella capitale del Burkina Faso, dove lavorano in tremila. Soprattutto donne e bambini

 

Appena varcato l’ingresso, la prima cosa che colpisce è il suono delle centinaia di piccoli mortai, utilizzati per sminuzzare il granito. Un tintinnio costante che copre ogni altro rumore. Subito dopo arriva l’odore acre degli pneumatici bruciati, che rende l’aria quasi irrespirabile. E la polvere.
È un mondo a parte, fatto di pietre, fatica e sudore. Questa è la cava di granito di Pissy, a pochi minuti dal centro di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso. È conosciuta come “la miniera delle donne”, perché, a cielo aperto, ci lavorano circa tremila persone, tra cui soprattutto donne, appunto, e di conseguenza molti bambini.
La cava è vicina al centro abitato, per questo motivo è impossibile utilizzare esplosivi e tutto il lavoro viene svolto in forma esclusivamente manuale, dall’estrazione alla riduzione in pietre di varie dimensioni. L’estrazione viene facilitata dalla combustione di materiale plastico, che crea micro fratture all’interno della roccia. Facile immaginare quali siano le conseguenze di questi fuochi sulla salute di chi lavora in miniera.
Qui si lavora in condizioni estreme, privi di qualsiasi norma di sicurezza. I lavoratori passano ore e ore esposti al calore (la temperatura nella stagione secca può raggiungere i 50 gradi) e alla diossina prodotta dalla combustione degli pneumatici.
La giornata dura 10 o 12 ore e il guadagno dipende dalla quantità di pietra estratta o lavorata. Se è stata una buona giornata, si può arrivare a guadagnare poco più di un euro.
Nella cava non ci sono zone d’ombra e l’unico riparo è rappresentato da piccole baracche, costruite con materiali di fortuna, che diventano rifugio e luogo di lavoro. Accanto ai mortai ci sono piatti, pentole e qualche bottiglia. Alcuni bambini lavorano come venditori ambulanti di bibite e cibo e con i loro carretti passano la giornata percorrendo la cava in lungo e in largo. In un avanti e indietro incessante, le donne, con il viso segnato da rivoli di sudore, portano blocchi di granito dal cratere della miniera verso la superficie. Il trasporto del materiale è pericoloso ed è difficile percorrere questi sentieri ripidi e tortuosi, quando si deve mantenere in equilibrio un carico di non meno di 50 chili.
In miniera c’è una precisa gerarchia, l’organizzazione del lavoro e il commercio delle grandi quantità di granito sono gestiti esclusivamente dagli uomini. Sono loro, inoltre, a decidere chi può entrare nella miniera e controllare la produzione. Le donne, oltre al trasporto dei materiali, si occupano dello sminuzzamento delle pietre.
Come la ragazza che lavora al mortaio insieme al suo bambino. Il suo sorriso non è offuscato dalla polvere che la avvolge quasi completamente e che rende grigie le sue ciglia e le sue narici. Un’immagine di grazia e bellezza che contrasta con le reali conseguenze a cui può portare l’esposizione continua alle polveri del granito. Problemi respiratori e infezioni polmonari sono tra le malattie più diffuse.
Un bambino di meno di 10 anni trasporta una grande pietra sulla testa e cammina scalzo sotto il sole. Come gli adulti sopporta in silenzio la polvere e il calore. Per contrastare il lavoro minorile, all’entrata della miniera campeggia un grande cartello, dove si legge che il lavoro nella cava è pericoloso per i bambini, che invece dovrebbero andare a scuola. La realtà purtroppo è molto diversa. In Burkina Faso migliaia di bambini lavorano nelle miniere, cercando di sostenere se stessi e le loro famiglie. La cava di Pissy non è un’eccezione.

Il reportage da Ouagadougou con testo e foto di Ilaria Lazzarini è stato pubblicato su Left del 7 gennaio 2017

Un Paese poverissimo
Il Burkina Faso è uno dei Paesi più poveri al mondo. Con un Indice di sviluppo umano di 0.402 si colloca – secondo l’Human Devolopment Report Undp del 2015 – al 183° posto su 188 paesi. Secondo uno studio del 2010 realizzato da Unicef e dal governo nazionale, circa 20mila bambini venivano utilizzati nelle miniere artigianali, e oltre l’80% non erano mai stati a scuola. Per fronteggiare questo fenomeno, negli ultimi anni sono stati realizzati grandi sforzi e finanziati vari progetti al fine di allontanare i bambini dalle miniere e farli iscrivere a scuola, ma rimane ancora parecchio da fare. Molti continuano ad accompagnare le loro madri fin da piccolissimi e quando sono un po’ più grandi e in grado di sopportare il peso delle pietre, iniziano a lavorare in miniera.

Un euro al giorno
Un euro al giorno o anche due, ma solo se la giornata è andata bene. Tanto si guadagna a lavorare nella cava di Pissy dopo dieci o dodici ore di lavoro giornaliere. La paga è a cottimo, legata alla quantità di granito estratta, lavorata e trasportata. Sempre e solo a mano.

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso

© Ilaria Lazzarini, la miniera di Pissy in Burkina faso