L’autore dei Quaderni del carcere, in pieno fascismo, con il concetto di egemonia culturale provò a dare una forma unitaria alla politica di sinistra. Oggi una nuova idea di realtà umana, nella quale bisogni ed esigenze siano ugualmente considerati, è il naturale e necessario sviluppo del marxismo

Nel maggio 1789, adunatisi gli Stati generali, i membri del Terzo Stato si spartirono l’emiciclo: i conservatori si accomodarono a destra, i radicali e i rivoluzionari a sinistra. Il centro, spazio indistinto e senza identità, fu chiamato “palude”. Nasceva quel giorno a Parigi, con la Rivoluzione francese, la sinistra. Ad agosto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino proclamava, sotto gli auspici dell’Essere supremo, i diritti naturali di tutti. Ma il biblico dissidio tra Caino e Abele, per la persistente matrice religiosa della Ragione, passò alla sinistra nelle forme di uno scissionismo irriducibile. Dalla mortale dialettica tra Robespierre e Danton, ghigliottinato come controrivoluzionario, il tragico scontro si è trasmesso fino ai pallidi epigoni odierni. Nella Russia prerivoluzionaria dei bolscevichi alimentò l’aspro conflitto che divise Lenin dall’ex amico Aleksandr Bogdanov sulle opposte sponde, economicista e culturale, dell’interpretazione di Marx.

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