La fine prematura di questa legislatura ha impedito che venisse discussa in Parlamento la proposta di ius scholae che avrebbe reso più semplice l’ottenimento della cittadinanza per i bambini e ragazzi stranieri. Ma dobbiamo puntare più alto rispetto a questa legge piena di lacune
Con la caduta del governo Draghi l’ennesimo tentativo di varare una riforma della legge sulla cittadinanza è andato in fumo. La proposta sullo ius scholae firmata dall’onorevole Giuseppe Brescia del Movimento 5 stelle, presidente della commissione Affari costituzionali, avrebbe facilitato l’ottenimento della cittadinanza, estendendo la possibilità di ottenerla ai bambini e alle bambine nati in Italia o arrivati prima di avere compiuto 12 anni, dopo aver frequentato le scuole per un ciclo di 5 anni. L’approvazione della riforma, in realtà, era tutt’altro che scontata. Forse è stato addirittura un bene che l’iter si sia interrotto, perché l’introduzione dello ius scholae non avrebbe intaccato l’impianto normativo dell’attuale legge, ma solo inserito un’eccezione rivolta a un bacino molto ristretto di aventi diritto. Sulla scarsa efficacia della riforma si sono espressi anche quei movimenti della società civile che l’hanno sostenuta, come “Dalla parte giusta della storia” e “Noi siamo pronti, e voi?”.
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