L’arte è dirompente, non parla il linguaggio dell’utile e della razionalità. Nelle città ferite da disuguaglianze, speculazioni e ​overtourism, allude a una possibile trasformazione. Eppure a volte è mal sopportata o addirittura ​distrutta. Come se ci fosse una carenza di ​sensibilità alla bellezza? ​Lo abbiamo chiesto al Maestro Michelangelo Pistoletto

Bellezza che spiazza. È un tema che da sempre ci affascina. Ha a che fare con l’idea di città come opera collettiva, come organismo vivente come diceva già Plinio e che, proprio in quanto tale, si può ammalare: di speculazione, di privatizzazioni selvagge e di disuguaglianze. È un tema che ci interroga sul ruolo che l’arte pubblica, non solo un’attenta urbanistica, può avere per contribuire a “curare” queste ferite e promuovere lo star bene insieme. A ben vedere sono proprio le relazioni a disegnare il volto delle città. È la qualità dei rapporti umani a generare quello speciale clima emotivo, ogni volta diverso, che si respira in un ogni agglomerato urbano, metropoli o paese che sia.

È lo stratificato palinsesto di Venezia – in cui si può leggere in filigrana la storia millenaria di generazioni di viaggiatori, artisti, donne di mondo, commercianti – a renderla speciale. Perciò quando la città viene ridotta a scenografia dalle logiche di mercato che puntano a estrarre il massimo profitto dal turismo di massa e gli abitanti vengono messi in fuga (come accade appunto a Venezia e Firenze) la città perde spessore, perde vita, diventa figurina bidimensionale. Si riduce a fortezza di arida bellezza quando in nome del decoro espelle i ceti più fragili e i senza dimora. Di questa perdita di senso e degrado della città ci occupiamo da molti anni, e il tema torna prepotentemente alla ribalta oggi, dopo che ad anni di pandemia è seguita una furibonda accelerazione del turismo di massa e insieme un vertiginoso aumento dello iato sociale. “Ne usciremo migliori”, dicevamo quando le città erano deserte per il lockdown. Purtroppo non è andata così, come scrive l’architetto Ugo Tonietti, cercando semi di un cambiamento possibile, e oggi quanto mai urgente, anche scavando nel passato, nei momenti più alti dell’abitare insieme. Del ruolo che può avere l’urbanistica per favorire la coesione sociale o al contrario per costruire barriere visibili e invisibili ci parla Daniela De Leo dell’università Sapienza analizzando la trasformazione delle banlieues parigine, di recente teatro di imponenti manifestazione dopo l’uccisione di un diciassettenne, Nahel, da parte di poliziotti razzisti a Nanterre. Francesca Cognetti del Politecnico di Milano invece ci porta nella periferia milanese che, pur fra molte difficoltà , può essere un laboratorio intergenerazionale e di intercultura. In questa storia di copertina dedicata alla ricerca di bellezza, di coesione sociale, qualità della vita in città, non potevamo trascurare il tema dell’emergenza abitativa. Lo facciamo con due focus su esperimenti socialmente importanti in Canada e a Roma. Mentre della potenza generatrice dell’arte negli spazi pubblici si occupano in un dialogo a distanza artisti e architetti di differenti generazioni, a cominciare da Michelangelo Pistoletto che dall’alto del suo percorso di ricerca e dei suoi 90 anni ci onora con una lunga intervista che prende le mosse dall’attacco che ha subito la sua Venere degli stracci a Napoli.

E qui veniamo al nocciolo: quando un’opera d’arte svetta in uno spazio pubblico suscita sempre una reazione forte. Pensiamo, per esempio, al David di Michelangelo, ai dirompenti valori repubblicani e civili a cui alludeva e che sono ancora oggi un richiamo fortissimo. Una scultura, una fontana – quando sono arte e non propaganda – innervano lo spazio pubblico in modo vitale, ridisegnano l’intorno, “parlano” a chi quegli spazi li vive e li attraversa quotidianamente. Sono un segno irrazionale, di fantasia, che stimola ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte dell’ordinario, a fare una ricerca personale, a guardare oltre la realtà materiale. Fanno sognare come Malìe della strega ideata dallo psichiatra e artista Massimo Fagioli per la piazza di Avetrana e progettata da Anna Guerzoni e Isa Ciampelletti.

Ma un’immagine d’arte nuova, si sa (la storia dell’iconoclastia insegna) suscita anche crisi in chi non può e non riesce a lasciarsi andare alla bellezza. E capita anche che ragioni economicistiche di ripavimentazione  possano apparire più stringenti del restauro dell’opera, che quanto meno, osiamo dire, poteva essere smontata e conservata altrove. Di questa storia, che ci tocca profondamente, scrive la storica dell’architettura Giulia Ceriani Sebregondi. Dell’atto vandalico subito dalla Venere degli stracci, incendiata dolosamente a Napoli (e non da un clochard come era stato detto dapprima), ci parla il Maestro Pistoletto. Importanti associazioni come Mi riconosci? hanno rimarcato la mancanza di concertazione con la cittadinanza prima dell’installazione. Innegabile. Ma non si può negare nemmeno che sia stata vandalizzata un’opera che parla di identità femminile, di rigenerazione, di rifiuto delle logiche capitalistiche che riducono l’umano a scarto. Anche con il progetto collettivo della Cittadellarte, che accoglie giovani da tutto il mondo, Pistoletto continua a lavorare per portare avanti una ricerca sull’arte negli spazi pubblici e sulla responsabilità anche “politica” dell’artista. Tema caldissimo e di stretta attualità. Una maggiore sensibilità collettiva negli ultimi anni – particolarmente cresciuta grazie al movimento Black Lives Matter dopo l’assassinio di George Floyd – ha portato a contestazioni contro la statua equestre omaggio al generale Lee, che guidò le truppe della confederazione durante la guerra civile. Nel 2020 fu abbattuta a Bristol la statua in bronzo dedicata a Edward Colston, mercante e commerciante di schiavi africani. Il contestato monumento del re belga Leopoldo II ora potrebbe essere trasformato in un memoriale dedicato ai milioni di persone morte in Congo e a tutte le vittime del colonialismo belga. Chi parla di cancel culture, in questo caso, è completamente fuori strada. Statue, che nulla hanno a che fare con l’arte, violente nel contenuto e nell’estetica, devono poter essere rimosse dagli spazi pubblici, come gesto di civiltà e democrazia. Inaccettabili in questo senso gli strali che il Corsera lancia contro le femministe e ora contro i giovani di Extinction rebellion che hanno preso di mira la statua di Montanelli, che comprò una bambina in Etiopia, ne fece quel che voleva e da anziano continuò a insultarla con parole di una violenza indicibile. Perché mai la statua che ricorda costui dovrebbe stare in un parco pubblico frequentato da bambini? Perché invece fa scandalo se la compagna di Pistoletto di fronte al rogo della Venere degli stracci dice che l’ha sentito come un femminicidio?

Illustrazione di Chiara Melchionna