Cinquant’anni fa il golpe di Pinochet “pilotato” dalla Cia stroncò il gobierno popular. Oggi risalta e resiste l’originalità del pensiero allendista e la sua visione di una società avanzata, innovativa, democratica e socialista
«Lavoratori della mia patria, ho fiducia nel Cile e nel suo destino. Altri uomini supereranno questo momento oscuro e amaro, in cui il tradimento pretende di imporsi. Voi continuate a sapere che, prima o poi, si riapriranno i grandi viali dove passa l’uomo libero per costruire una società migliore.¡Viva Chile! ¡Viva el pueblo! ¡Vivan los trabajadores! Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà vano, sono certo che sarà almeno una lezione morale che condannerà l’inganno, la viltà e il tradimento». L’11 settembre 1973 un golpe militare capeggiato dal comandante in capo dell’Esercito, il generale Augusto Pinochet, rovescia violentemente il governo costituzionale di Unidad popular guidato dal socialista Salvador Allende dal settembre 1970. «Con un gesto di imperdonabile condotta, il popolo cileno elegge presidente Salvador Allende», scriverà ironicamente lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano. Si tratta di una vittoria storica per le sinistre cilene e per Allende che dopo ben tre tentativi (1952, 1958, 1964) viene eletto presidente della Repubblica del Cile con un programma che aspira alla costruzione di una società socialista nel pieno rispetto delle istituzioni democratiche.
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login