Due generali che si contendono il potere, le miniere d’oro, il commercio di armi, le ingerenze esterne, dai mercenari della Wagner agli Emirati Arabi, alimentano la guerra civile in Sudan. A pagare è come sempre la popolazione civile: milioni di sfollati, migliaia di morti e feriti. Il racconto di Federica Iezzi chirurgo di Medici senza frontiere
«Non mi era sconosciuta, la guerra. La differenza è che qui non ci sono regole. Se di regole si può parlare, in una guerra». Quel “qui” è Khartoum, capitale del Sudan oggi devastato da un conflitto che va avanti da metà aprile scorso e di cui, almeno nel momento in cui scriviamo, non si scorge la fine. A raccontarci un pezzo di questa follia è Federica Iezzi, 39 anni, chirurgo di Medici senza frontiere. «Eravamo in sala operatoria, i bombardamenti proseguivano sin davanti al cancello dell’ospedale. E poi fumo, bagliori, sempre, per due mesi di fila». Un’immagine chiara, quella della giovane specialista in chirurgia infantile, ma con alle spalle una lunga storia di missioni, rientrata in Italia, ad Ancona, ma pronta a ripartire. La fotografia di un Sudan senza più “legge”. I numeri (certamente per difetto, perché anche la conta delle vittime è difficile) sono terrificanti: quasi 4mila morti (ma potrebbero essere 10mila) dall’avvio del conflitto, oltre tre milioni di sfollati. Li dobbiamo ai due generali che si contendono il potere e le risorse di questo straordinario Paese, ricchissimo anche sul profilo culturale e storico: Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo delle forze armate sudanesi, le Saf, il presidente, e Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto da tutti col nome di Hemetti, ex vice del presidente e ora suo nemico al comando delle Rsf, le Rapid support forces, ovvero le forze di supporto rapido, paramilitari pronti a tutto, responsabili in questi sette mesi di violenze e abusi di ogni genere.
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