Ancora oggi la risoluzione dei conflitti attraverso il diritto deve fare i conti con un deficit culturale: ovvero l’idea che gli Stati si collochino all’interno di un ipotetico stato di natura violenta
All’alba del 7 ottobre scorso l’organizzazione politica Hamas ha lanciato migliaia di razzi, un numero senza precedenti, dalla striscia di Gaza verso Israele. «L’operazione militare», come l’ha definita Hamas è stata rivendicata come l’inizio della «rivoluzione contro Israele con l’obiettivo di porre fine ai crimini di Israele » compiuti sia verso i palestinesi che verso i luoghi di culto. La dimensione del conflitto è degenerata in pochissimo tempo, provocando sia reazioni di condanna dell’attacco di Hamas da parte dei Paesi occidentali che di solidarietà verso il popolo palestinese che subito dopo la Seconda guerra mondiale ha visto la progressiva occupazione del suo territorio da parte di Israele. Purtroppo, come spesso accade durante un conflitto armato, la maggior parte delle vittime sono civili, in maggioranza donne e bambini e la solidarietà della comunità internazionale dovrebbe avere una principale e prioritaria destinazione, i civili e coloro che la guerra la subiscono in prima persona.
Il conflitto in Medio Oriente è purtroppo uno dei tanti che affliggono diverse zone del mondo e, sorprendentemente, avviene all’interno di una regione dove è stata intrapresa la prima, e più datata, missione di peacekeeping delle Nazioni Unite (Onu). Si tratta della missione United Nations truce supervision organization (Untso) lanciata nel 1948, con quartier generale a Gerusalemme, ed ha gli obiettivi di monitorare i cessate il fuoco dei fronti in guerra in Medio Oriente, di supervisionare gli accordi di armistizio e prevenire l’aggravarsi di possibili incidenti isolati. Attualmente le missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite sono 12 e sono dislocate nel continente africano (6), in Medioriente (3), in Europa (2) e in Asia (1). Ciò che salta all’occhio vedendo le informazioni delle missioni (vedi box) è la loro data d’inizio, in quanto almeno la metà di queste sono state lanciate prima del 2000. Le date di alcune di esse fanno legittimamente pensare a che tipo di valore aggiunto abbiano gli interventi dei “caschetti blu” dell’Onu in alcuni territori e ci si può anche domandare cosa significhi mantenere la pace in territori fortemente instabili caratterizzati da difficili realtà sociali, economiche ed ambientali.
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