Perché e quando un individuo diventa violento? Quali sono le cause della distruttività, dal momento che diventare distruttivi non è un destino ineluttabile? Abbiamo chiesto a una psichiatra e psicoterapeuta di aiutarci a fare chiarezza
Illustrazione di Marilena Nardi L'essere umano non ha dentro di sé, per sua natura, la violenza. E quindi, di conseguenza, la violenza non è qualcosa di naturalmente, fisiologicamente, presente nell’umano. Sebbene la credenza che l’essere umano sia naturalmente violento abbia radici lontane migliaia di anni, esse non occupano l’intera storia dell’uomo. Al mito di Edipo (al quale si attribuisce l’origine del pensiero del logos occidentale) che racconta di una natura umana perversa e naturalmente portata alla violenza e alla distruzione e quindi alla guerra, si contrappone un mito ancora più antico: la storia d’amore tra due adolescenti che in una dialettica sviluppano la propria identità. In “Amore e Psiche” il racconto delle sorelle invidiose di un mostro che emerge dal buio è una bugia cattiva. In questa favola mitologica ritroviamo, inoltre, la paura dello sconosciuto e una mancanza di fiducia nel proprio sentire, ma non una violenza articolata a eliminare la vita dell’altro. Non esiste alcuna prova certa della presenza di qualche forma di violenza nel paleolitico e le pitture rupestri non mostrano scene di violenza (vedi U. Tonietti, L‘arte di abitare la terra). I primi conflitti fra i popoli sembrano comparire dopo che i gruppi di cacciatori nomadi sono diventati stanziali, hanno iniziato a accumulare beni e hanno sviluppato un’organizzazione sociale che deputava ad alcune figure la gestione di tali beni, per cui queste quindi erano in grado di gestire una certa forma di potere. Sembra che in questo ambito sia nato anche il potere religioso e che le diverse popolazioni si siano distinte sulla base delle differenti radici religioso culturali. Ciononostante la credenza dell’essere umano come naturalmente violento rimane molto diffusa, anche se mai è stata dimostrata e che anzi viene contraddetta da un numero crescente di ricerche. Spostiamo ora l’attenzione dal piano antropologico a quello più prettamente psicologico, di cui, facendo la psichiatra, mi occupo quotidianamente. Un problema che si osserva frequentemente è quello relativo alla confusione tra opporre un rifiuto, cioè dire un “No”, ed essere violenti. Questo riguarda un po’ tutti, ma in particolare le donne che più frequentemente possono confondersi e sentirsi in colpa o angosciate pensando di essere violente se si trovano a dire di no e opporre un rifiuto. Come se non essere sempre e comunque accondiscendenti (o sottomesse come in alcune culture religiose) implicasse automaticamente una lesione e quindi una violenza sull’altro.

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