Un volume curato da Anna Maria Panzera, con saggi di Alessandro Carlevaro e Marina Longo, offre una nuova lettura del genio dell’artista a duecento anni dalla morte. Ecco un estratto dall’introduzione
Scrivere qualcosa su Canova, oggi, significa innanzi tutto confrontarsi con una letteratura specializzata vastissima, che ha finalmente reso possibile la rivalutazione totale e l’ampia documentazione dello spessore di un artista la cui fama ha vissuto vicende alterne, qualche volta sfavorevoli, soprattutto allo scoccare del «secolo breve», quando le avanguardie hanno fatto il loro ingresso sul palcoscenico delle arti. Sarebbe sembrato oltremodo strano, infatti, che il candido Canova, il formalista perfetto, il difensore del canone classico, riuscisse a stare al passo con l’irruzione del cromatismo dilagante e acceso dell’Impressionismo e del Post-impressionismo, con lo spezzarsi della linea cubista e astrattista, con la deformazione dei volumi e la loro compenetrazione con lo spazio, inarrestabile nella scultura da Medardo Rosso, attraverso Umberto Boccioni, per arrivare a Lucio Fontana e oltre; per non parlare del confronto con le tendenze della cultura visiva più vicina a noi, che da un lato hanno trasformato i nomi più famosi dell’arte ufficiale e storicizzata in icone pop a larghissimo consumo (di fatto diffondendone la conoscenza con riproduzioni illimitate, ma sorvolando sulle finezze dei processi che hanno portato alla creazione degli originali) dall’altro ci sommergono di immagini varie, innumerevoli, seducenti, talvolta dozzinali, ma non di rado di qualità altissima.
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