La relatrice speciale Onu per i Territori occupati traccia un drammatico quadro della situazione in Palestina. «Il 7 ottobre Hamas - dice - ha commesso crimini odiosi contro Israele. Da allora, è il popolo palestinese ad essere oggetto di un massacro di entità spaventosa»
Incontriamo Francesca Albanese, relatrice speciale Onu per i Territori palestinesi occupati a pochi giorni di distanza da suoi impegni di lavoro negli Stati Uniti e in Australia. Alle Nazioni Unite, Albanese ha partecipato non solo agli incontri da tempo programmati ma anche a quelli straordinari, imposti dalla tragica attualità successiva ai fatti del 7 ottobre scorso (su questi temi Francesca Albanese con Christian Elia ha appena pubblicato J’accuse, Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il Terrorismo, Israele, l’Apartheid in Palestina e la Guerra  libro intervista di Christian Elia edito da Fuoriscena ndr). Di recente, con i primi scambi di ostaggi, si è alimentata la speranza di un fermo alle operazioni militari di Israele nel territorio di Gaza. Prima di questa fase, però, gli incontri che hanno avuto luogo al Palazzo di vetro sono stati tanto febbrili quanto, in buona sostanza, improduttivi sul piano dell’approvazione di provvedimenti volti a fermare definitivamente la guerra in Palestina. La paralisi registrata in seno al Consiglio di sicurezza dove veti incrociati hanno impedito di generare una risoluzione di “cessate il fuoco” ne è stata la più drammatica testimonianza. Né beneficio concreto è derivato dalla risoluzione non vincolante adottata dall’Assemblea generale per una pausa umanitaria da far rispettare alle parti in conflitto nella Striscia. Una risoluzione resa debole all’origine dal voto contrario espresso da Stati Uniti e Israele, cui si è aggiunta l’astensione di un certo numero di Paesi tra cui l’Italia stessa. In tale complessa e drammatica cornice, sono esplose feroci critiche della diplomazia israeliana all’indirizzo del Segretario generale Antonio Guterres il quale, commentando gli sviluppi in corso a Gaza, ha sottolineato come ogni valutazione in merito non debba esulare dal prendere in considerazione decenni di illeciti dovuti all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. In definitiva, un contesto inopinatamente frammentato di fronte all’inaudita gravità dei fatti in quella già martoriata terra. Eventi che, sommandosi alle altre gravi crisi in corso nel pianeta, generano la diffusa percezione di iniziative depotenziate o persino assenti da parte dell’Onu. A pagarne enormi conseguenze è la legalità internazionale con convenzioni e quadri normativi non applicati e quindi umiliati. In questo scenario desolante, non si contano i danni a intere popolazioni e terre. Dopo le oltre 1.300 vittime israeliane di quel 7 ottobre, impressionanti sono sopraggiunti i numeri della catastrofe in corso nella Striscia. Circa 17mila civili uccisi dai bombardamenti, il 70 per cento dei quali bambini, in gran parte, e donne. Dottoressa Albanese, è trascorso esattamente un anno quando, all’indomani della pubblicazione del suo primo rapporto ufficiale dedicato alla fondamentale questione dell’autodeterminazione dei palestinesi, si discuteva con lei dei conclamati illeciti connessi all’occupazione della Palestina da parte di Israele. Ricordo che, immaginando scenari e suggestioni possibili, ebbe a citare un passo di Eduardo Galeano per cui «se fai due passi avanti, l’utopia ne fa altrettanti. Se però ne fai dieci indietro, l’utopia comunque dieci in avanti ne farà». I fatti a partire dal 7 ottobre sono di tale portata che sembrano demolire anche le più utopiche prospettive, non crede? È come se fosse stata sdoganata la disumanità: a un anno di distanza è ciò che sento, ciò che provo. Non ricordo una sola volta, da quando mi occupo e seguo le vicende di Palestina, in cui non abbia affermato che si fosse ormai giunti all’apice del peggio oltre cui sarebbe stato impossibile prevedere un ulteriore funesto traguardo. E invece va sempre peggio: ora sembra proprio che si sia raggiunta la discesa verso l’abisso. Purtroppo, questa descrizione non si serve di facili iperboli retoriche, ma risponde drammaticamente al vero.

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