Mobili in legno che quasi odorano dei boschi della Finlandia e vetri ricurvi che evocano le sponde dei fiordi. Con le loro creazioni Alvar e Aino Aalto conquistarono il mondo negli anni Trenta. Una mostra al MAXXI di Roma ne ripercorre l’opera, ma non cogliendone appieno la portata
Alvar e Aino Aalto furono due influencer ante litteram. Negli anni Trenta del Novecento inventarono una linea di prodotti “dal cucchiaio alla città” che dalla remota Finlandia conquistò il mondo. Si trattava prima di tutto di una serie di nuovissimi mobili in legno curvato che quasi odoravano dei loro boschi. Erano semplici, pratici, armoniosi: sgabelli, tavoli, sedie, poltroncine che abitavano gli alloggi popolari ed erano un “must” nelle case degli architetti moderni. Niente orpelli, niente decorazioni, spesso impilabili cosicché non ingombravano gli appartamenti dell’existenzminimum. Si potevano tirare fuori e con gli amici passare tempo insieme in semplicità senza dover lucidare l’argenteria come suggerivano gli arredi in stile Novecento che imperavano a quel tempo in Italia. E poi un’altra serie magnifica di oggetti creava il brand Aalto: quella dei vetri. Anch’essi ricurvi, ricordavano le sponde dei laghi e dei fiordi, perché Aalto in finlandese vuol dire lago. Entrambi, vetri e mobili in produzione ancora oggi, sono copiati da altre ditte e disponibili in grandi store nelle periferie di molte città. Alvar (1898-1976) era un ragazzo allegro e bizzarro quando si presentò a Francoforte al secondo Congresso internazionale di architettura moderna nel 1929. Arrivò scherzando con il berretto calato e travolse gli algidi tedeschi Gropius e Mies, ma anche l’altezzoso pittore-architetto Le Corbusier. Aalto era irresistibile perché non era solo un ragazzo vivace, ma era un genio. Aveva già progettato un vero capolavoro. Sempre nei boschi della sua terra stava costruendo il sanatorio di Paimio. Qui dimostrava come le regole della nuova architettura funzionalista potevano avere un accento narrativo, dinamico e una nuova bellezza. I corpi si spandevano a ventaglio, le finestrature, i lucernari anche i chiaroscuri suggerivano un sentire romantico. L’insieme ruotava su una torre-icona che trasformava una ciminiera e una tanica per l’acqua nel perno della composizione. Ma la tendenza a usare i dati funzionali come risorse avveniva anche con i balconi in aggetto che segnalavano il corpo delle camere al visitatore, con la sinuosa pensilina all’ultimo piano, con l’ascensore che scorreva dietro una parete di vetro.

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