La direttrice del Centro culturale Vik a Gaza Meri Calvelli, racconta il disastro umanitario nella Striscia sotto le bombe israeliane. E l’escalation di violenza dei coloni contro i palestinesi in Cisgiordania, dove ora vive
Il rapporto Onu del 2017 Gaza 10 anni dopo - cioè dopo 10 anni di aggressioni militari e di ferreo blocco terrestre, marittimo e aereo imposto da Israele - conteneva una drammatica allerta: Gaza sarebbe potuta diventare invivibile già entro il 2020 a causa delle persistenti crisi energetiche, sanitarie e alimentari, il 95% di acqua non potabile e la più alta percentuale di disoccupati al mondo. Dal 7 ottobre 2023 il destino della Striscia di Gaza sembra essere quello di una irreversibile ecatombe. Il massiccio attacco terroristico sferrato a sorpresa dall’ala armata di Hamas - le Brigate al-Qassam - che è riuscita a penetrare in Israele causando la morte di circa 1.200 persone, in gran parte civili, e il rapimento di 240 ostaggi, ha determinato da parte dell’esercito israeliano una reazione di proporzioni che possiamo definire bibliche. Basti ricordare le parole pronunciate il 9 ottobre dal ministro della Difesa Yoav Gallant: «Stiamo mettendo Gaza sotto completo assedio, non avranno cibo, non avranno acqua, non avranno carburante. Chiuderemo tutto. Stiamo combattendo contro animali umani e ci comporteremo di conseguenza».
Mentre scriviamo, l’operazione militare ha già causato la morte di oltre 25mila persone, di cui più del 40% bambini. Oltre 62mila sono i feriti. L’11 e 12 gennaio all’Aia, davanti alla Corte internazionale di giustizia, si sono svolte le due udienze in cui è stata esaminata la denuncia contro Israele mossa dal Sudafrica che, con il sostegno di alcuni Paesi, tra cui il Brasile, lo accusa di violazione a Gaza della Convenzione Onu sul genocidio. La ferma condanna dell’attacco terroristico di Hamas non può esimerci dall’analizzare il retroterra entro cui ha potuto prendere forma. Lo facciamo con Meri Calvelli che in questi giorni si trova in Cisgiordania. Non è solo la direttrice del Centro italiano Vik - fondato a Gaza in memoria dell’attivista Vittorio Arrigoni e che da anni promuove progetti di carattere socio-culturale tra l’Italia e la Striscia - ma è anche una cooperante internazionale con una lunga esperienza sul campo in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza dove vive da anni, e con una profonda conoscenza della società civile e politica sia palestinese che israeliana.
Meri Calvelli, in quale contesto dobbiamo collocare ciò che è avvenuto il 7 ottobre?
È stato un attacco molto violento quello che ormai viene chiamato il Black Shabbat. L’esplosione di una situazione che non era più sostenibile era però nell’aria, non solo dentro la Striscia, dopo ben 16 anni di assedio e cinque operazioni militari, ma anche in Cisgiordania, dove dall’inizio del 2023, con la formazione del governo Netanyahu, sono aumentati gli insediamenti illegali e gli attacchi violenti dei coloni verso i palestinesi. I coloni rimangono impuniti anche quando responsabili di uccisioni, addirittura vengono sostenuti dalla coalizione del governo più a destra della storia di Israele in cui sono stati fatti entrare partiti ultraortodossi che rifiutano la nascita di uno Stato palestinese - in linea con lo slogan di Netanyahu già alle elezioni del 2015: “Se vinco le elezioni, non nascerà uno Stato palestinese”. Potenza ebraica, il partito del ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir, per esempio, si richiama alle idee del rabbino razzista Meir Kahane, già messo fuori legge da Israele, accusato di istigazione al terrorismo. Questo governo ha provocato violente proteste anche dentro Israele a causa della riforma della giustizia - recentemente bocciata dall’Alta Corte israeliana -, ma anche per le politiche di espansione degli insediamenti ed è considerato dall’opposizione “una minaccia per la pace nel mondo”. Poi ci sono state anche le irruzioni delle forze militari israeliane nella moschea al-Aqsa ad aprile 2023, con attacchi ai fedeli musulmani in preghiera - centinaia sono stati arrestati e feriti. A ciò si sono aggiunte le provocatorie visite alla Spianata delle Moschee di Ben-Gvir, condannate addirittura anche dagli alleati americani. I continui soprusi quotidianamente subiti da quello che la stessa Amnesty ha definito un sistema di apartheid, il completo abbandono anche da parte della comunità internazionale di trattative per la pace, ha condotto il popolo palestinese alla perdita di ogni speranza. Era prevedibile che tutto ciò prima o poi potesse sfociare in un atto di brutale violenza, ma non è stato fatto niente per evitarlo.
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