La scrittura come atto politico. Non come mero esercizio stilistico. Da questa esigenza nasce il nuovo romanzo di Vittorio Giacopini "L’orizzonte degli eventi”, finalmente in libreria, dopo un percorso avventuroso
Illustrazione di Vittorio Giacopini Il romanzo di Vittorio Giacopini L’orizzonte degli eventi (Mondadori) è una opera picaresca che ha visto la luce dopo aver ricevuto una serie di rifiuti perché considerata “troppo cupa e sarcastica o troppo amara”. Il romanzo-pamphlet dello scrittore (disegnatore e voce di Radio3) ha avuto una vita editoriale “avventurosa”. L’autore l’aveva messo in conto: «È il clima del nostro tempo, lo Zeitgeist: alla lettera si richiede implicitamente di essere consolatori o edificanti. Raccontare la realtà in modo intimista-descrittivo o secondo i canoni scontati dell’Impegno o dell’autofiction serve a poco», dice lui stesso. E aggiunge: «Quando il reale e la storia si fanno grotteschi, lo sberleffo e il grottesco diventano il linguaggio più adeguato. L’artista, l’intellettuale deve trasformare il suo disagio in visione e pensiero. Alla fine la grande scommessa è sempre immaginare il mondo e le cose con un altro sguardo, e vivere e scrivere come se prima o poi fosse possibile una rivoluzione». L’arte, quindi, è un atto politico e non un mero esercizio stilistico. La contestazione contro il verso e le retoriche dominanti del mondo Giacopini la affida al suo scritto: «Questo libro è anche una pacata, divertita invettiva contro quella che potremmo definire l’ideologia italiana. Ma più in generale è un tentativo di riflettere sulla Storia, e sul possibile rapporto tra il soggetto e la Storia, dopo una fase in cui la Storia sembra come essersi spezzata o messa in pausa. La pandemia, il lockdown, e il clamoroso, conformistico intreccio di nuove obbedienze e false rivolte che hanno coinciso con questa situazione inedita sono state un’occasione formidabile per metterci davanti a uno specchio e tornare a ragionare sui nostri modelli di socialità e cultura e politica». Il romanzo non è il risultato di un’illuminazione mistica o di un’ispirazione sacra. Tutt’altro. Semmai è figlio di un’insofferenza che l’autore ha voluto trasformare in livore pensante, in sarcasmo intelligente. Giacopini scrive con stile movimentato e stravagante, costruendo una struttura narrativa intricata e complessa, di quelle ore e di quei giorni che si sono fatti stranamente irreali e paradossali.

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