Cresce nelle università, anche del mondo arabo, la protesta contro la guerra in Palestina, che, dice la studiosa del Medio Oriente, «Netanyahu vuole rendere inabitabile» per espellere tutta la popolazione. Ma in Egitto chi manifesta rischia molto
Trentasettemila. Un numero che cresce ogni giorno e di cui non si riesce a fare l’immagine. E invece sono persone, molti di loro sono donne, e bambini, uccisi nella striscia di Gaza dalla rappresaglia israeliana, dopo l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023, durante il quale i miliziani di Hamas hanno ucciso centinaia di ragazzi israeliani che pacificamente ballavano in un rave. Una tragedia immane, ma a cosa è servita la vendetta sull’intero popolo palestinese? Hamas non è stato eradicato, anche perché i suoi capi perlopiù vivono in ricche residenze nei Paesi del Golfo. Oltre cento ostaggi israeliani restano ancora nelle mani dei terroristi. L’unico risultato che Netanyahu e la destra fondamentalista israeliana hanno prodotto è un immane disastro umanitario: il 70 per cento del tessuto urbano di Gaza è stato raso al suolo, le università e le scuole sono state bombardate, gran parte della rete ospedaliera è stata distrutta. Gaza oggi appare come the waste land, una terra desolata, resa inabitabile. Quale è la strategia del governo di Tel Aviv?
Paola Caridi
Lo abbiamo chiesto a Paola Caridi, esperta di Palestina e autrice di libri importanti come Arabi invisibili e Hamas, dalla resistenza al regime (editi da Feltrinelli), che aiuta a capire l’oggi e il contesto storico. «La ferita del 7 ottobre è stata estremamente profonda in Israele. La reazione è avvenuta senza che all’inizio vi fosse una strategia riguardo a Gaza. Nonostante ciò fin dall’inizio alle truppe israeliane fu detto che la guerra sarebbe durata a lungo», risponde Caridi. E aggiunge: «Era chiaro che l’impiego di truppe di terra avrebbe significato il confronto con una guerriglia che conosce bene il territorio. Ma in quei primi mesi anche il generale Gantz diceva che bisognava “riportare Gaza all’età della pietra”. Anche l’opposizione all’epoca non la pensava in maniera troppo diversa». Poi in questi lunghi mesi di guerra la società israeliana si è spaccata, una parte della popolazione è scesa in piazza, le famiglie degli ostaggi hanno fatto irruzione in Parlamento, hanno fatto pressione su Netanyahu chiedendo un negoziato per il loro rilascio. Ma il capo del governo ha tirato dritto, ben sapendo che la fine della guerra vuol dire anche la fine della sua carriera politica. «La sua strategia è apparsa conclamata dopo qualche mese - ricostruisce la giornalista e studiosa del mondo arabo -. L’obiettivo è la totale distruzione di Gaza. I continui bombardamenti e i colpi mirati dei cecchini servono a questo. Non sono riusciti a espellere la popolazione palestinese spingendola verso il Sinai, allora hanno cercato di “evacuarla” ammassandola a Rafah. Ma con il valico chiuso non entrano aiuti umanitari e nessuno esce per dirigersi verso il Sinai».

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