“Alessandria preziosa”, curata da Fulvio Cervini, mette in luce la stretta tessitura fra l’arte del territorio e quella di Milano e Genova, invitando a riscoprire uno straordinario patrimonio artistico diffuso nei piccoli paesi
Nella parte conclusiva del suo pionieristico scritto del 1959 su Mostre e musei Roberto Longhi contrappone alle già allora diffuse rassegne «basate su ideuzze pretestuali come “luce e ombra”, “fantastico”, “diabolico”» alle mostre che secondo lui meritano di essere fatte. Ossia le mostre monografiche sui grandi maestri, «le mostre “personali”, che si fanno una tantum, una volta per sempre» (su questa loro pretesa irripetibilità ci sarebbe da ridire…); e «le mostre di ricognizione regionale, che sono debito sacrosanto degli uffici di governo dell’arte e che possono così rivelare spesso opere sconosciute e quasi irraggiungibili le quali, nell’occasione, vengono medicate e sanate». Nel corso degli ultimi anni le mostre dedicate ai grandi artisti, per non parlare di quelle strutturate attorno a “ideuzze” un po’ bislacche, si sono moltiplicate e hanno occupato una porzione sempre più vasta dell’offerta espositiva. Di rassegne “di ricognizione regionale” se ne fanno meno, ma per fortuna se ne fanno ancora, come prova la mostra Alessandria preziosa, a cura di Fulvio Cervini, in corso fino al 6 ottobre nella cittadina piemontese, in alcune sale di Palazzo Monferrato. Ponendosi in continuità con un’altra mostra importante, Alessandria scolpita, allestita nel 2018-2019 e dedicata alla scultura tra Gotico e Rinascimento, la mostra racconta un territorio e un’epoca, tirando fuori da sagrestie, conventi, piccole raccolte una serie di pezzi poco o per nulla noti, di notevole interesse e di grande bellezza; e spesso restaurandoli, in ossequio a quanto una buona rassegna “territoriale” deve fare, come già sottolineava Longhi. A partire dai pezzi la mostra imbastisce, in maniera lineare e perspicua, un racconto che è indirizzato, sì, all’appassionato, al viaggiatore che, grazie all’esposizione, ha l’opportunità di scoprire una città e un territorio che non sono certo tra i più gettonati dal turismo culturale; ma un racconto che in primo luogo si rivolge ai cittadini stessi di Alessandria e dintorni, che non conoscono la loro storia e si trincerano dietro uno sconsolato “Ad Alessandria non c’è niente”. Invece ad Alessandria, Casale, Tortona c’è molto, e la mostra vuole essere una porta di accesso al territorio, innanzitutto attraverso i pezzi stessi, che rimandano alle chiese e alle raccolte di provenienza, talvolta ubicate in paesini dai nomi inauditi, ma anche raccomandando ai visitatori di proseguire il loro percorso di conoscenza del Monferrato controriformato, mediante visite alle principali testimonianze artistiche di questo territorio.

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