Grazie a Max Brod, che fu un esecutore testamentario disubbidiente, possiamo leggere l’epistolario dello scrittore scomparso cento anni fa. La nuova edizione del loro carteggio edita da Neri Pozza illumina aspetti inediti
"Kafka? Chi è Kafka?” Sarebbe stata una domanda possibile ai nostri giorni, a cent’anni dalla morte dello scrittore praghese, se non fosse esistita la sua amicizia con Max Brod il quale, contro la volontà dell’amico che vuole distrutti i suoi scritti dopo la morte, salva gran parte del lascito non pubblicato di Kafka raccogliendolo e portandolo con sé, quando nel 1939 fugge dalla Germania nazista. Un esecutore testamentario disubbidiente a cui la letteratura universale è debitrice. Due amici diversi, nel fisico, nel pensiero, nella vita privata e sociale. Così diversi che la loro amicizia è per Walter Benjamin «un punto interrogativo, che egli (Kafka) ha voluto dipingere al margine dei suoi giorni». E forse ha ragione se Kafka stesso afferma: «A Max non risulto chiaro, e dove gli risulto chiaro, si sbaglia» (un monito per tutti noi?). Fra le carte salvate c’è anche l’epistolario fra i due, che Neri Pozza editore con il titolo Un altro scrivere. Lettere 1904-1924 (traduzione. e introduzione di Marco Rispoli e Luca Zenobi) ripropone oggi, a 15 anni dalla prima pubblicazione, offrendo al lettore italiano l’occasione di tuffarsi nuovamente in pagine di assoluta singolarità. Con la voce di Kafka, «Caro Max… Il nostro carteggio può essere molto semplice; io scrivo le mie cose, tu le tue e questo è già risposta», potremmo aspettarci la spontaneità di un’andatura piana per la naturale commistione di vita quotidiana e arte che rallenta il ritmo narrativo rendendolo descrittivo e indiretto; potremmo aspettarci, non dico una rinuncia alla letterarietà quanto forse una sospensione, una pausa da essa. Invece, se questo è in parte vero per le lettere di Brod, pacate, lineari e ricche in particolari di vita mondana e sociale, non lo è affatto per quelle di Kafka il cui linguaggio essenziale e talvolta bruciante trasporta con forza nell’interiorità dello scrittore boemo.
Le lettere di Kafka sono, in alcune loro parti, letteratura pura. Conosciamo l’intensità al limite dell’esprimibile di quelle a Milena Jesenská, suo grande amore, che si snodano a volte nel soliloquio del contrasto insanabile fra vita e arte, fra amare e scrivere. Altrettanto vive, le lettere a Brod propongono lungo un ventennio la ricerca dell’identità di scrittore di Kafka sempre tinta dal paradosso. Si dice scrittore anche quando non scrive per poi piegarsi, nella celeberrima lettera del giugno 1921, alla duplice emarginazione dello scrittore ebreo-tedesco che, tedesco nei confronti degli slavi ed ebreo nei confronti dei tedeschi, vive le tre impossibilità: «l’impossibilità di non scrivere, l’impossibilità di scrivere in tedesco, l’impossibilità di scrivere in un’altra lingua».
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