Nei primi cento giorni del nuovo presidente Bassirou Diomaye Faye ci sono segnali di rottura con il passato. Tanta la speranza verso il nuovo corso, ma emergono anche vecchie fragilità
Il colpo di coda dell’ancien régime senegalese - con il rinvio imposto dal presidente uscente Macky Sall delle elezioni presidenziali di febbraio a dicembre 2024 ed il loro ri-anticipo obtorto collo al 24 marzo scorso, dopo la sollevazione delle opposizioni e dell’opinione pubblica e l’intervento del Conseil Constitutionnel - da una parte ha mostrato la resistenza al cambiamento di una parte dell’establishment, quello legato a filo doppio con la Francia, ma dall’altra ha dato prova della vitalità della società civile e del corpo elettorale.
Ma anche della capacità di tenuta delle istituzioni democratiche: uno stress test mai vissuto prima dal Senegal, il Paese africano tradizionalmente più stabile e pacifico dell’area, dove tuttavia la stabilità perseguita dal vecchio presidente rischiava la torsione autocratica e illiberale di fronte al tentativo di manipolazione della Costituzione senegalese.
Ha vinto in modo netto la proposta politica di radicale cambiamento del Pastef, il partito di Ousmane Sonko, imprigionato ed escluso dalla competizione durante il crepuscolo della corte di Sall ma oggi a capo del nuovo governo, dopo l’elezione a presidente della Repubblica Bassirou Diomaye Faye, un ex funzionario dell’agenzia delle imposte di Dakar, 43 anni, al fianco di Sonko fin dalla creazione del movimento, di cui ha condiviso ogni passaggio.
Diomaye, come ama chiamarlo la sua gente, è un presidente di rottura col passato, è l’interprete, insieme a Sonko e al movimento ampio e plurale che accompagna questo progetto politico, di quello che alcuni commentatori occidentali hanno definito del panafricanismo di sinistra: un’etichetta appiccicata con molta superficialità e approssimazione ad un progetto che sfugge alle categorie della politica cui è abituata l’Europa. Certo, l’impronta progressista c’è ed è ben visibile ma si interfaccia, in un dialogo non privo di aspetti contraddittori, con una visione valoriale conservatrice, improntata alla tradizione e alla cultura anche religiosa del popolo.
Nei primi 100 giorni, il nuovo governo senegalese ha messo mano ad alcuni dei dossier sociali e politici più spinosi e carichi di aspettative per il popolo che l’ha condotto al potere: il pagamento dei debiti nei confronti degli agricoltori e una vera e propria rivoluzione nella distribuzione delle sementi per la produzione agraria con il coinvolgimento, per la prima volta, dell’esercito per arginare il fenomeno degli intermediari che si arricchivano alle spalle dei coltivatori, l’abbassamento dei prezzi dei beni di prima necessità (pane, olio, zucchero, riso ecc.), la sospensione di alcuni accordi sulla pesca (dal 15 luglio le navi che non potranno esibire una valida licenza in corso non saranno più autorizzate alla pesca, essendo in corso la verifica di tutte le licenze per individuare armatori stranieri che operano nascosti dietro licenze senegalesi), il blocco delle licenze di costruzione sul demanio marittimo, l’audit nella pubblica amministrazione per scoprire le sacche di corruzione e di inefficienza nascoste nelle pieghe della vecchia burocrazia, la nomina di un dicastero dedicato all’Ambiente che sta elaborando progetti ambiziosi.
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