«La contrapposizione fra generazioni crea solo disuguaglianze. È creata ad hoc, ma la verità è un’altra», dice la segretaria generale Spi Cgil, annunciando un autunno di mobilitazioni
Mentre in Francia sono state innalzate barricate contro la riforma Macron che allunga l’età pensionabile a 62 anni, in Italia, dove si tocca la quota 67, quasi di questo tema non si parla più. Nonostante i proclami di abolizione della legge Fornero, il governo Meloni rischia di fare ancora peggio. Il tavolo con i sindacati è sospeso da tempo e lo Spi Cgil annuncia iniziative di mobilitazione per l’autunno. Ne abbiamo parlato con Tania Scacchetti, segretaria generale dello Spi Cgil.
«Chiariamo subito una cosa, - avverte la sindacalista - da quando si è insediato il governo Meloni i tavoli sono stati finti. Il governo si è sempre mosso nella logica dei piccoli aggiustamenti. È evidente lo iato fra la propaganda elettorale e quello che è stato fatto. Da parte del governo non c’è un pensiero o una volontà di attivare una riforma».
E intanto il sistema pensionistico è sempre in difficoltà?
Viene destrutturato il sistema pensionistico pubblico. Le persone non hanno più una certezza previdenziale, che è la prima garanzia del patto fra i cittadini e Stato. Direi di più. Le pensioni vengono usate per far cassa. E questo avviene mentre si sta transitando verso un sistema pienamente contributivo, con un Pil calante, senza affrontare il tema del cambiamento del mercato del lavoro e le conseguenze che questo ha sul sistema pensionistico.
Per questo in autunno i pensionati scenderanno in piazza?
Nel quadro più generale io penso che una nostra specifica mobilitazione sia necessaria perché non può passare la logica che le pensioni siano un privilegio. Pensioni che arrivano a 1700, 1800 o duemila euro lordi dopo aver lavorato 42 anni, spesso anche in condizioni faticose, con ogni evidenza non sono pensioni ricche. È una battaglia culturale e politica. Se il Paese ha problemi di tenuta, se ci sono priorità da affrontare, come sempre è accaduto nella storia d’Italia i pensionati fanno la loro parte, ma esigiamo che il governo contrasti l’evasione e i veri privilegi. Se invece attacca le pensioni e il sistema di sanità pubblica, ovvero i sistemi a garanzia dei diritti di tutti e universali, la nostra mobilitazione è necessaria e inevitabile.
Accennavamo alla Francia, rispetto alla riforma delle pensioni imposta da Macron c’è stata una risposta di contestazione molto forte, perché in Italia non c’è ancora questa reazione massiccia?
Questo è un grande interrogativo che riguarda l’efficacia e la partecipazione alle mobilitazioni. Più che in altri Paesi a volte si percepisce da una parte della popolazione una nota di rassegnazione del tipo: “qualunque cosa si faccia non cambia niente”. Questo è il punto più complicato per noi, perché se la gente si rassegna non c’è costruzione possibile di un’alternativa. Un’altra questione su cui riflettere riguarda il ruolo (e la riconoscibilità del ruolo) delle istituzioni e dello Stato che è minore da noi rispetto che in altre parti dell’Europa e in particolare in Francia. Sulle mobilitazioni anche questo influisce. Tuttavia in una società che negli anni si è piegata all’individualismo e alla logica della divisione e contrapposizione di interessi vediamo anche segnali importanti di voglia di esserci e di partecipare.
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