Da Sarajevo ad Atene, a Roma. L’intenso percorso di ricerca dell’artista visiva e architetta bosniaca Nora Lefa. In occasione della personale romana Bodies of Shadow a Villa Pamphilj l’abbiamo incontrata
Ho conosciuto l’artista visiva e architetta Nora Lefa nel 2017 nell’antica capitale reale del Montenegro. Eravamo entrambi tutors all’interno di un progetto europeo Erasmus Plus rivolto a giovani provenienti da fasce deboli e svantaggiate. Fra loro vi erano soprattutto ragazze minorenni con alle spalle storie drammatiche fatte di migrazioni forzate, prostituzione, violenze, rapine, carcere. I Paesi coinvolti erano l’Italia, la Germania e, appunto, il Montenegro. Il progetto, che sarebbe durato un anno, consisteva nel condurre un viaggio in questi Paesi, dove insieme ai partecipanti avremmo tentato di immaginare un percorso e cercato perfino di rappresentarlo attraverso il racconto, il video, la danza e il teatro. La tappa più bella di questo viaggio avvenne in Montenegro, dove per quindici giorni, insieme al direttore del dipartimento dell’Accademia di arte drammatica di Cetinjie Edin Jasarovic, i ragazzi provenienti dai tre Paesi si incontravano, provavano, scrivevano, sotto il nostro occhio elettronico. Nora svolgeva con loro un lavoro seducente e appassionante fatto di movimento, danza e arti sceniche. La serietà e la profondità del suo lavoro la si poteva misurare nella risposta dei ragazzi, tutti pronti a seguirla nelle sue articolazioni che puntavano a cercare una connessione profonda e personale con gli studenti, nel tentativo di liberare il potenziale di ciascuno, aiutandoli a comprendere la vera essenza di ciò che costituisce il vissuto interiore e provare a rappresentarlo attraverso gli strumenti dell’arte. Quella scintilla, quella urgenza, quella corsa contro la perdita per far vivere i sogni profondi e le memorie più autentiche, sono l’essenza del percorso artistico di Nora Lefa, che si lega strettamente a quello umano e personale. Dopo Cetinjie le nostre vite si sono rincontrate a Sarajevo, città in cui Nora è cresciuta - e in cui io avevo da poco finito di girare Bosnia Express -, dove ha conosciuto e gridato il suo primo amore, e da cui è fuggita allo scoppio della guerra del 1992-95, esule per lunghissimi anni prima a Creta e poi ad Atene. Riuscirà a rivedere la città bosniaca solo nel 2013. Sarajevo è restato e resterà il suo palcoscenico reale e immaginario. Lo si vede percorrendo le sue opere, che scandiscono come episodi di un poema o atti di un dramma, la sua avventura artistica. Sarajevo è diventata per Nora, nel tempo, il luogo della memoria, della fantasia, ma allo stesso tempo il luogo reale. L’arte di Nora non si esaurisce in una galleria o in uno spazio chiuso rivolto alla contemplazione dei cultori d’arte, ma invade le strade, i muri dei palazzi martoriati dalla guerra, le piazze, i marciapiedi e perfino gli storici tram di Sarajevo.

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