«Quando gettiamo un sasso in acqua, partono immediatamente onde concentriche il cui esito, la cui fine, dipende dal posizionamento degli argini, delle rive. Il sasso è l’opera, e noi siamo le rive. Ed è il nostro posizionamento, la nostra localizzazione storica, geografica, culturale a determinare la lettura o le letture, tra le tante possibili, dei libri, e dei fenomeni». Questa è una delle belle metafore disseminate nell’ultimo saggio di Enrico Terrinoni, La letteratura come materia oscura, edito da Treccani nell’ottobre scorso, un’opera straordinaria per acume critico e qualità di scrittura. Terrinoni ci ha abituato ormai da tempo ad accettare sfide affascinanti, non di rado ardite, per tutto ciò che riguarda la traduzione e l’interpretazione di un testo letterario, ma quella che propone nella sua ultima opera è particolarmente attraente: far incontrare la fisica quantistica con la letteratura. Ma in che modo? Negli otto capitoli che compongono il volume l’autorevole studioso e traduttore di James Joyce delinea un percorso in cui i principali principi della meccanica quantistica vengono letti e declinati nell’ambito di quella che è una dimensione ermeneutica apertissima. Enrico Terrinoni pratica sempre il dubbio e lo sconfinamento; pone continue domande e abbatte steccati; si spinge in territori dove molti altri non osano indagare. È la sua marca principale, la sua qualità più grande. La sua ricerca richiama quella rivoluzionaria interpretazione del reale prodotta dalla fisica quantistica, che ha di fatto sconvolto i canoni della fisica classica, proponendo una visione (e una conoscenza) del mondo di natura non deterministica ma probabilistica, in continua evoluzione, e continuamente interpretabile e traducibile perché di fatto mai del tutto prevedibile.
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