L’accordo di stampo neocoloniale tra Rama e Meloni per la deportazione dei migranti non è l’unico tratto in comune dei due primi ministri. E si inserisce in un più ampio processo di erosione democratica

All’attuazione dell’accordo Rama-Meloni, attraverso il primo arrivo dei migranti a bordo della Libra, ero lì, a Shëngjin, in protesta come parte del collettivo Mesdhe (Mediterraneo, terra di mezzo in Albanese, ndr), unica italo-albanese tra attivisti albanesi. Accanto a noi i “guardiani” d’Europa: Edi Rama e Giorgia Meloni, raffigurati con divisa da poliziotti. La nostra protesta era contro il patto “d’amicizia” che si basa sulla negazione dei diritti umani, infrange il diritto internazionale, calpesta la memoria collettiva albanese ed è totalmente anticostituzionale in entrambi i Paesi coinvolti. Un patto, per noi, che sancisce la fine del sogno europeo. Il sogno europeo che, per noi albanesi, è stato spesso sogno di libertà. Di apertura. Di speranza. Un sogno per cui si è rischiato di morire - e si è morti - a causa di un regime dittatoriale isolazionista che aveva chiuso l’Albania - compresi i cosiddetti “italianesi” - al suo interno, aveva interrotto qualsiasi rapporto con i Paesi del blocco comunista dopo l’apertura di Krusciov (tranne la Cina e i Paesi che seguivano la sua linea) e uccideva chi tentava di oltrepassare i confini della “fortezza Albania”.

Colpevoli di sognare un Paese più libero e democratico. Furono uccise 6mila persone mentre tentavano la fuga e ne vennero arrestate 3.200.

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login