Riletto oggi, Una boccata d’aria svela un Orwell complesso e moderno, ben lontano dal profeta apocalittico che la vulgata popolare ha costruito. Il traduttore e curatore dell’edizione Feltrinelli, Andrea Binelli, ce lo restituisce come analista lucido della realtà sociale prima che distopica

«Sta per scoppiare la guerra. Nel 1941, così dicono. E ci sarà un sacco di vasellame rotto, piccole case sventrate come pacchi postali e le budella del segretario del responsabile contabile sparse sul pianoforte che sta acquistando a rate... Tutte le cose che vi passano nell’anticamera del cervello, quelle da cui siete terrorizzati, quelle che vi illudete siano soltanto incubi o che accadano esclusivamente nei paesi stranieri: le bombe, le code per il cibo, i manganelli di gomma, il filo spinato, le camicie colorate, gli slogan, i faccioni enormi, le mitragliatrici che sputano proiettili dalle finestre delle camere. Tutto ciò accadrà. Lo so… Era come se mi si fosse rivelata una profezia».

Siamo verso la fine di uno dei libri purtroppo meno noti di George Orwell, Una boccata d’aria (Feltrinelli), riproposto in questi mesi nella magistrale traduzione e curatela di uno dei suoi più autorevoli esperti italiani, Andrea Binelli. È proprio lo studioso a criticare in maniera netta, nella sua introduzione, una delle chiavi di lettura di fatto più popolari dei libri di Orwell, ossia il loro essere profetici. Scrive Binelli: «Orwell è un autore celebre in tutto il mondo e un intellettuale ingombrante le cui analisi critiche sono messe in sordina e le opere letterarie narcotizzate da letture superficiali. Fa parte di questo processo di mitologizzazione banalizzante il bollarlo come “profeta”, l’etichetta per chi predice uno scenario, questo sì, ma lo fa attraverso ragionamenti scomodi di cui si preferiscono eclissare i riferimenti socio-politici dietro l’evanescenza innocua del discorso profetico».

Si tratta di una lettura importante, che spiega molto a fondo la parabola letteraria orwelliana, un percorso tra tantissimi libri e saggi, che troppo spesso viene ridotto ai due testi che lo resero famoso, Millenovecentottantaquattro e La fattoria degli animali. La spiega bene perché ci racconta un Orwell diverso, da riscoprire: sempre politico, ma in senso sociale, vale a dire, attento alle dinamiche in atto nella società contemporanea.

È stato detto che nei suoi libri e negli scritti critici e giornalistici Orwell tenti di rinverdire una caratteristica tutta inglese che egli chiama decency (decenza, correttezza, rispettabilità), e che sarebbe da un lato un valore

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