Festa, Angeli e Schifano. Per anni li hanno citati insieme, come una cantilena. Erano quelli di Rosati, i pittori popolari, nella duplice accezione: famosi e al contempo figli del popolo. Non dominavano solo la scena dell’arte, ma anche quella della mondanità, erano i pittori comunisti che folleggiavano con le principesse, bocconi succulenti per paparazzi, giornalisti da rotocalco, inventori di nuove mitologie pagane… A ogni modo hanno finito per sperperare tutto, come se sempre nel loro inconscio prendesse il sopravvento l’idea che la ricchezza è il vero scandalo dell’uomo».
Il ritratto che Andrea Pomella ci offre di Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa nelle pagine del suo ultimo romanzo Vite nell’oro e nel blu, edito da Einaudi come il precedente Il dio disarmato, è condensato meravigliosamente in queste poche righe. I pittori di piazza del Popolo, amici “maledetti” che arrivarono alle vette della notorietà, che si accompagnarono a belle e nobili donne, con cui intrattennero rapporti burrascosi, senza risparmiarsi certe cattive compagnie, come quella della mala romana, incontrate sui sentieri della droga di cui furono grandi consumatori. Molto diversi ma tenuti insieme da certe affinità elettive e da un comune destino, da continue fughe in Europa e a New York, dove finirono sotto le luci della ribalta come in un film (il cinema fu un’altra loro passione) e da un finale doloroso e amaro.
E accanto a loro Francesco Lo Savio, fratello di Tano Festa («fratelli di sangue, ma illegittimi», perché nati fuori da un matrimonio) da cui Tano a un certo punto della sua vita si allontanò artisticamente e umanamente per poi scapicollarsi al suo capezzale, dopo che il fratello aveva ingerito trentacinque pasticche di sonnifero (Lo Savio morirà dopo nove giorni di coma a Marsiglia).
«Schifano è l’istinto. Angeli la lotta. Lo Savio il pensiero. Tano Festa è la contemplazione». Pomella ne indaga le iperboliche e fragili esistenze, sempre oscillanti tra beatitudine e dannazione, tra l’oro e il blu, facendole diventare scrittura, racconto, romanzo; un «romanzo biografico, non una biografia», come sottolinea nella Nota dell’autore, a fine libro, perché
Questo articolo è riservato agli abbonati
Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login




