Beltrame, secondo le ricostruzioni, fu tra gli organizzatori della missione a Mosca del 2018 attorno all’hotel Metropol

C’è un filo che torna e s’annoda dove la politica finge di non vedere. Il Consiglio dei ministri del 28 agosto 2025 ha nominato Stefano Beltrame ambasciatore a Mosca, crocevia simbolico e reale della nostra postura estera. È più di una promozione: un segnale. A Vladimir Putin, con cui dovrà «gestire i rapporti», e a Matteo Salvini, di cui Beltrame è stato consigliere diplomatico nel governo Conte I e compagno di itinerari russi. Secondo le ricostruzioni, fu tra gli organizzatori della missione a Mosca del 2018 attorno all’hotel Metropol. Spezzoni di biografia diventano linea di governo. 

Il ministro Tajani rivendica la decisione come ordinaria amministrazione mentre a Roma si riorganizza la Farnesina: Cecilia Piccioni trasloca alla Direzione generale per gli Affari politici, Beltrame s’insedia a Mosca. La Lega esulta, Luca Zaia saluta «una garanzia», Giorgetti non smentisce il pressing. Palazzo Chigi manda un messaggio: nessuno strappo, si torna alla realpolitik che chiude gli occhi sulle guerre quando conviene alla coalizione e alle convenienze di partito. In sintonia con la nuova Casa Bianca di Trump.

In un Paese serio, una scelta così si spiega in Parlamento, con trasparenza su dossier, criteri e indirizzi. Qui si procede di tacito accordo, come se il passato non esistesse e come se la Russia fosse un capitolo neutro. È l’ennesimo pezzo di politica estera piegato agli equilibri interni: una cartolina inviata a Mosca e alla sede della Lega. Il resto è scena. E il conto, come sempre, lo paga la credibilità dell’Italia.

Buon venerdì. 

 

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